Amministrazione e bilancio

03 Settembre 2024

L’utilizzo degli indici per la verifica delle rimanenze di fine anno

I ratio “incidenza percentuale del costo del venduto sul fatturato” e “rotazione delle scorte” impiegati per smascherare possibili sovrastime delle giacenze di fine anno.

L’articolo spiega come un analista esterno utilizzi gli indici (rimanenze iniziali + acquisti – rimanenze finali)/ricavi e 365 *(rimanenze/ricavi) per valutare la correttezza delle giacenze in modo da esprimere un giudizio circostanziato sull’equilibrio economico/patrimoniale dell’impresa. La sovrastima a fine anno delle rimanenze costituisce lo strumento utilizzato per modificare il risultato di esercizio. A volte avviene nell’ambito di corretti principi contabili, più spesso a fronte di veri e propri falsi di bilancio.
L’analista esterno ha quindi necessità di adottare specifici indici di bilancio per valutare l’attendibilità di questa posta al fine di esprimere una propria opinione circostanziata sugli equilibri economico/patrimoniali.

L’analisi dell’andamento storico del 1° margine percentuale di profitto ottenuto come (rimanenze iniziali + acquisti – rimanenze finali)/ricavo costituisce per questo scopo uno strumento utile e di semplice realizzazione anche con i soli dati ufficiali. Il suo valore di norma rimanere costante nel tempo con variazioni nell’ordine del 1,5%.
Le grandezze impiegate nel calcolo sono infatti cospicue, per cui difficilmente influenzabili da singoli eventi nonché fortemente condizionate dal modello di business. Eventuali oscillazioni anomale, pertanto, dovranno essere riconducibili a eventi straordinari capaci effettivamente di modificare la redditività dell’impresa, come una variazione nei cambi delle monete o l’introduzione di nuovi prodotti. Fatti che, per la loro rilevanza, risulteranno giustificati in nota integrativa.
Sequenze dove l’indice assume, negli anni, valori pari a 50%, 50%, 49,5%, 49%; 45%, 46% oppure pari a 50%, 49%, 48%, 47%, 46%, costituiscono fattispecie sospette. La prima farebbe pensare a una sistemazione della perdita negli ultimi 2 anni tramite una riduzione artificiosa dell’incidenza dei costi di produzione. Nel 2° caso potremmo invece essere di fronte a un business non redditizio dove, anno per anno, si interviene con aggiustamenti progressivi.
Queste manovre, come detto in premessa, vengono effettuate manipolando le rimanenze in quanto poste di assestamento prive di corrispondenza con partite finanziarie e, per altro, caratterizzate da un certo grado naturale di incertezza. L’alterazione dei ricavi e dei costi avviene, invece, più difficilmente e comunque solo dopo, perché facilmente individuabile nell’ambito di una verifica interna di un terzo (collegio, AdE, curatore, ecc.) attraverso il riscontro con le fatture. Un esempio fra tutti le procedure di revisione di cut-off con cui si accerta il corretto utilizzo del conto fatture da emettere.
Le rimanenze di fine anno, invece, in assenza di una contabilità di magazzino risultano già difficili da ricostruire al momento della predisposizione del bilancio di esercizio.
L’indice 365 * (rimanenze/ricavi), che misura la rotazione delle scorte in giorni, costituisce la controprova per confermare i dubbi emersi. Una giacenza ottimale dovrebbe prevedere un arco temporale di rinnovo contenuto in 60-90 giorni. Rotazioni invece pari a 120-180 giorni, con tempi dilatati negli anni, finiscono per convalidare la presenza di giacenze artefatte.
Risulta invece scarsamente significativo un incremento ridotto delle rimanenze. Vi potrebbero essere astute politiche di bilancio con cui si limitano a dicembre gli acquisti andando a ridurre le scorte reali per rendere apparentemente credibile lo stock e la sua variazione contabile.

Infine, il tutto andrà collocato in una valutazione di insieme. Un progressivo peggioramento della tesoreria, utili minimi, indici anomali, capitalizzazione di costi immateriali e altro costituiranno un quadro complessivo di indizi, per cui a pensar male si pecca ma spesso ci si azzecca!

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