Società e contratti
26 Agosto 2021
La pedissequa applicazione della presunzione di distribuzione di utili inciampa in una recente sentenza della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 19442 del 8.07.2021, pone il freno a un avviso di accertamento basato sull’ormai consueta applicazione della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili accertati nelle società di capitali costituite da un numero ristretto di soci. Presunzione assai nota quanto diabolica e che si è ormai radicata nelle aule della giustizia tributaria, pur non avendo alcun fondamento normativo, ma che incontra di tanto in tanto qualche ostacolo come quello che riguarda il caso che stiamo per trattare.
L’Agenzia delle Entrate aveva effettuato un accertamento a carico di una Srl dal quale erano stati rilevati maggiori utili extracontabili (nella fattispecie, si trattava di una plusvalenza emersa a seguito della cessione dell’unico immobile posseduto dalla società) e da cui erano successivamente scaturiti avvisi di accertamento del maggior reddito imponibile a carico dei soci, trattandosi di società a ristretta base partecipativa. Il giudizio di impugnazione davanti alla Commissione Tributaria Provinciale si conclude con un pieno accoglimento, ma tale decisione veniva ribaltata nel giudizio di appello, di talché il ricorso in Cassazione proposto dal contribuente.
Secondo il ricorrente, l’Agenzia delle Entrate aveva ignorato che la società accertata aveva effettuato la rivalutazione dell’immobile e pertanto nessuna plusvalenza si era formata, circostanza peraltro trascurata anche dai giudici di secondo grado. La Corte di Cassazione, richiama la costante giurisprudenza, che, nel caso di società a ristretta base sociale, ritiene legittima la presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili extracontabili eventualmente accertati, ricordando che è fatta salva la facoltà del contribuente di dimostrare che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti ma, ad esempio, sono stati accantonati dalla società o dalla stessa reinvestiti.
Presunzione diabolica, come si può ben intendere, dovendo fornire il contribuente una prova negativa, ovvero la non percezione di utili che, sul piano pratico, diviene quasi sempre impossibile. Ma la Cassazione offre alcuni spunti di riflessione quando afferma che, tuttavia, tale presunzione opera non solo quando sia stata accertata la ristretta base sociale, ma anche quando sia stata validamente accertata, a carico della società, la sussistenza di maggiori ricavi (contabilizzati o non contabilizzati) e che, soprattutto, il reddito della società risulti accertato in maniera definitiva (Cass. 441/2013; Cass, 2214/2011). Nel caso in esame, è di tutta evidenza come non sia stato accertato alcun maggior utile (contabilizzato o non), trattandosi di una mera contestazione sul costo fiscalmente riconosciuto dell’immobile poi ceduto. Naturalmente la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente.
Un ulteriore spunto di riflessione riguarda il fatto che il socio non era stato messo a conoscenza dell’attività di accertamento, caso piuttosto frequente e che coglie di sorpresa molti contribuenti , spesso soci non amministratori di minoranza, che si trovano letteralmente investiti da un accertamento che trae origine da altro atto impositivo a loro sconosciuto e dal quale subiscono passivamente le conseguenze.
Questa sentenza fa registrare un punto a favore del contribuente e, soprattutto, della legalità.