Accertamento, riscossione e contenzioso

18 Gennaio 2021

Un limite alle rettifiche del Fisco su plusvalenze immobiliari

Per tale determinazione occorre rifarsi alla differenza tra il prezzo di cessione e quello di acquisto, non al valore di mercato del bene, come avviene con l’imposta di registro.

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È illegittimo l’accertamento induttivo dell’Amministrazione Finanziaria sulla plusvalenza patrimoniale, basato soltanto sul valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, come l’imposta di registro. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con le ordinanze 2.12.2020, n. 27477 e 29.01.2020, n. 1969. In tema di imposte sui redditi d’impresa, per la determinazione della plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile o di un’azienda occorre rifarsi alla differenza tra il prezzo di cessione e quello di acquisto, e non al valore di mercato del bene, come per l’imposta di registro. Il caso riguarda la cessione di un terreno edificabile a un prezzo non ritenuto congruo ai fini dell’imposte di registro: l’Ufficio finanziario accertava un maggior valore del negozio rispetto a quanto dichiarato dal cedente, un contribuente persona fisica. Il contribuente ricorreva alla CTP di Milano e poi a sua volta il Fisco alla CTR Lombardia: entrambi i gradi si chiudevano con giudizio favorevole per la contribuente. Da qui il ricorso in Cassazione dell’Agenzia delle Entrate.

In materia di accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione da titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, la Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui “l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a procedere in via presuntiva sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, restando a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato col valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di aver in concreto venduto ad un prezzo inferiore”. È necessario invece che il Fisco individui ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, che a sua volta, per contestare le determinazioni dell’Amministrazione Finanziaria, è gravato della prova contraria. Inoltre, l’interpretazione autentica della disciplina (con efficacia dunque retroattiva), laddove è previsto che il maggior corrispettivo ai fini dell’imposta di registro sia stato “dichiarato”, “accertato” o “definito”, deve intendersi nel senso della irrilevanza della determinazione non solo in sede di accertamento, ma anche in occasione della sua definizione, come nell’ipotesi di adesione alla definizione agevolata.

Tuttavia il medesimo collegio di legittimità ha chiarito che la situazione è mutata dopo il D.Lgs. 147/2015 che, all’art. 5, c. 3, recita: “per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26.04.1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31.10.1990, n. 347”. A conferma è opportuno precisare che la base imponibile ai fini Irpef non è data dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Se ne deduce che, non essendo assimilabile la base imponibile ai fini dell’imposta di registro a quella prevista per l’Irpef, l’accertamento presuntivo della plusvalenza sulla base del valore determinato ai fini del registro deve ritenersi illegittimo.

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