Amministrazione e bilancio
30 Settembre 2021
Continuano i dubbi su deducibilità e criterio di tassazione.
Il trattamento di fine mandato è un’indennità che la società può corrispondere agli amministratori al termine del mandato. Tale trattamento, che non ha una disciplina propria sotto il profilo civilistico, può essere assimilato per certi aspetti al trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti. Quest’ultimo, tuttavia, ha una sua propria disciplina che ne regola modalità di calcolo e tassazione, mentre il cosiddetto TFM è un istituto che viene regolamentato liberamente nell’ambito del rapporto tra le parti: la società da una parte e l’amministratore dall’altra.
L’Agenzia delle Entrate ha sempre posto sotto attenzione questo tipo di indennità, talvolta determinate in modo un po’ troppo disinvolto dalle imprese, di talché l’Amministrazione Finanziaria tende a contestarne la modalità di deduzione.
Sotto il profilo contabile, il principio OIC 31 stabilisce che tale indennità deve essere collocata nella voce B.1 del passivo (Fondi per trattamento di quiescenza e obblighi simili). Nel conto economico, la collocazione è nella voce B.7 dove si indicano in generale gli altri accantonamenti relativi a trattamenti di fine rapporto diversi da quelli di lavoro dipendente.
Sotto il profilo fiscale, il TFM si distingue dal compenso previsto in favore dell’amministratore, che segue sempre il principio di cassa (i compensi si deducono nell’esercizio in cui sono corrisposti ai sensi dell’art. 95, c. 5 del Tuir).
Nel caso dell’indennità di fine mandato è fondamentale che il diritto al trattamento sia fissato con atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto. Questo ne consente la deduzione secondo il principio di competenza ai sensi dell’art. 105 del Tuir (nel limite della quota maturata in ogni esercizio) e la possibilità di tassazione separata, ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. c) del Tuir.
È proprio su questo aspetto che avvengono le maggiori contestazioni dell’Agenzia delle Entrate, che interpreta in modo rigido il disposto del citato art. 17. In mancanza di atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, secondo l’Amministrazione Finanziaria, viene meno la possibilità di dedurre per competenza l’indennità, con la conseguenza che deduzione per la società e tassazione in capo all’amministratore avverrebbero solo nell’anno di effettivo pagamento, con tassazione ordinaria in capo al percipiente.
Secondo la Cassazione (sent. n. 13384/2020), ai fini della deducibilità è necessario formare una delibera assembleare di nomina degli amministratori, con successiva accettazione da parte di essi o, in alternativa, una comunicazione sociale agli amministratori stessi, recante data certa, in cui si manifesta la volontà di nomina e di riconoscimento del diritto all’indennità. Questa tesi è contrastata dall’Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC) che sostiene la contabilizzazione e la deduzione per competenza a prescindere dal fatto che il diritto all’indennità risulti in data anteriore all’inizio del rapporto (Norma di comportamento n. 180/2011).
L’argomento è stimolante e meriterebbe maggiore spazio, ma crediamo che una soluzione possa essere trovata. Un ragionevole compromesso potrebbe essere il riconoscimento che l’atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto è lo statuto o il verbale di nomina (in cui semplicemente si stabilisce il diritto all’indennità) e con successiva delibera assembleare (non necessariamente con data certa) si stabilisce l’entità dell’indennità stessa.