Imposte dirette

31 Luglio 2024

Transfer pricing, rilevanti anche le società in perdita

Respinta la tesi dell’Amministrazione Finanziaria che rifiuta di considerare i comparables in perdita in 2 esercizi su 3. Il giudice deve comunque verificare se la situazione è fisiologica o patologica (Cass., sent. n. 19512/2024).

Ai fini del transfer pricing devono essere considerate anche le imprese fisiologicamente in perdita. È questo l’importante chiarimento espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 16.07.2024, n. 19512.

Com’è noto, ai sensi dell’art. 110, c. 7 del Tuir i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, se ne deriva aumento del reddito.
La finalità di questa disposizione (di natura antielusiva) è quella di evitare che all’interno di un gruppo possano essere effettuati trasferimenti transnazionali di utili mediante l’applicazione di prezzi superiori o inferiori al valore normale dei beni ceduti al fine di sottrarli a imposizione in Italia a favore di tassazioni estere più vantaggiose (Cass. nn. 22023/2006 e 11226/2007).

Uno dei metodi previsti per determinare il valore normale è costituito dal prezzo “mediamente praticato” per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.
Per la valutazione delle operazioni internazionali infragruppo, le guidelines dell’OCSE sul transfer pricing prevedono, tra gli altri, il c.d. “Transactional Net Margin Method” (TNMM), ovvero la comparazione del margine netto conseguito da un’impresa associata nelle transazioni infragruppo con il margine netto realizzato da soggetti indipendenti in transazioni comparabili. L’adozione di questo metodo è basata sul principio in base al quale l’utile conseguito dalle imprese che operano nello stesso settore e in condizioni analoghe dovrebbe tendere a essere simile entro un ragionevole periodo.
La determinazione dei prezzi applicati in regime di libero mercato sulla base del citato criterio del “margine netto” presuppone la corretta individuazione dei soggetti comparabili (cd. “comparables”) alla realtà aziendale considerata. In questi casi, spesso, l’Agenzia delle Entrate rifiuta di considerare i comparables costituiti dalle società in perdita in 2 esercizi su 3 (o per i quali i dati non siano disponibili nella banca dati) nella considerazione che, così facendo, si andrebbe a inficiare il prezzo di libera concorrenza.

Il caso oggetto del contenzioso ha riguardato i servizi di call center forniti da un’impresa italiana alla propria consociata olandese con applicazione di un mark up determinato mediante la predisposizione di 2 studi sui prezzi di trasferimento. In quest’ambito la società aveva individuato un mark up di mercato del 5% mentre l’Amministrazione Finanziaria, scartando le società prive di dati contabili o con risultati d’esercizi negativi in almeno 2 periodi su 3, lo aveva rivisto al rialzo al valore di 7,42%.
La Cassazione ha riconosciuto la validità delle ragioni della società. In primis, è stata osservata la normalità del fatto che, in un mercato di libera concorrenza, vi sono anche società in perdita, o comunque prive di alcuni dati contabili. Ulteriormente, il collegio ha richiamato le linee guida Ocse ai paragrafi 1.59 e 3.43 che non prevedono l’eliminazione tout court di società in perdita o con valori contabili ridotti o assenti, se i risultati sono conseguiti al fine di ottenere risultati migliori negli anni futuri. Considerato che, di tutto quanto sopra, i giudici di secondo grado non avevano tenuto conto nella sentenza emessa, gli Ermellini hanno accolto il ricorso del contribuente.

La pronuncia è significativa in quanto per la prima volta il principio Ocse è stato avallato dai giudici di legittimità (in precedenza, in senso analogo, tra le altre, in giurisprudenza si erano espresse: C.T.R. Lombardia 21.04.2015, n. 1670 e 9.07.2015, n. 3165; C.T.P. Milano 8.02.2016, n. 1108. In dottrina si veda il documento Assonime n. 4/2018).

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