Paghe e contributi
21 Giugno 2024
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 28.05.2024, n. 14848, ha chiarito che il tempo intercorrente tra la timbratura del cartellino e il raggiungimento della postazione rientra nel tempo effettivo di lavoro e deve essere retribuito.
La Corte d’appello di Roma, riformando una sentenza di primo grado e accogliendo l’istanza dei ricorrenti, dipendenti di un’azienda privata, si è pronunciata circa il diritto dei lavoratori alla retribuzione dei minuti giornalieri“quale tempo effettivo di lavoro”, che intercorrono tra “la timbratura del cartellino al tornello posto all’ingresso e il completamento della procedura di log-on” e di quelli che, al contrario, intercorrono tra “il completamento della procedura di log-off fino alla timbratura del cartellino al tornello all’uscita”.
La Corte di Cassazione, interpellata dall’azienda datrice di lavoro, soccombente in sede di appello, con l’ordinanza in oggetto ha innanzitutto ribadito che “la Corte d’appello si è adeguata a quella che è l’interpretazione corrente e consolidata della normativa sull’orario di lavoro ai sensi del D.Lgs. 66/2003 e delle direttive comunitarie 93/104 e 203/88”, avendo fondato la propria pronuncia sul principio secondo cui “il tempo retribuito richiede che le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro siano necessarie e obbligatorie. In tal senso è orientata la giurisprudenza consolidata di questa Corte, con orientamento di recente ribadito proprio in relazione a vertenze promosse ai fini della computabilità del tempo per raggiungere il luogo di lavoro, il quale rientra nell’attività lavorativa vera e propria (e va quindi sommato al normale orario di lavoro) allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione lavorativa (Cass. 27008/2023)”.
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Inoltre, è stato richiamato il principio secondo cui, ai fini della misurazione dell’orario di lavoro, l’art. 1, c. 2, lett. a) D.Lgs. 66/2003 attribuisce rilievo “non solo al tempo della prestazione effettiva, ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro; ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all’interno dell’azienda nell’espletamento di attività prodromiche e accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico (sentenza n. 13466/2017)”.
Secondo gli Ermellini, “la Corte territoriale non ha affermato nulla di diverso rispetto a tali principi”; l’attività in questione risulta essere infatti “eterodiretta e obbligatoria” poiché è la datrice di lavoro che “ha deciso come strutturare la propria sede e dove collocare la postazione di lavoro dei ricorrenti e il percorso da effettuare; che ha assegnato ai ricorrenti mansioni svolgibili solo tramite una postazione telematica e ha quindi provveduto a scegliere il tipo di computer che ha ritenuto più opportuno e ne ha determinato con puntualità la procedura di accensione necessaria all’uso della stessa determinando così anche i tempi necessari”; ed è la stessa datrice che “ha deciso che all’orario esatto di inizio turno i ricorrenti debbano essere già innanzi alla propria postazione già inizializzata e pronta all’uso”.
Quindi, il tempo intercorrente tra la timbratura del cartellino e il raggiungimento della propria postazione di lavoro deve essere considerato tempo di lavoro e va retribuito secondo quanto previsto dai contratti di categoria. Respinto il ricorso, all’azienda è stato così imposto il versamento ai ricorrenti del corrispettivo economico riferito ai minuti oggetto della controversia.
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