Accertamento, riscossione e contenzioso

28 Giugno 2024

Tassati sui soci i prelievi dal conto della Sas

L’Amministrazione Finanziaria, in presenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, può legittimamente riqualificare i prelevamenti effettuati sul conto corrente della Sas.

Cosa affronteremo in questo articolo:

  1. Premessa
  2. Disciplina
  3. Caso di specie

Premessa

In presenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente riqualificare i prelevamenti effettuati sul conto corrente della Sas (società in accomandita semplice) in compensi di lavoro autonomo occasionale e tassarli in capo ai soci. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza 6.06.2024 n. 15919.

Disciplina

Com’è noto l’art. 2303 c.c. prevede per le Snc (e, in ragione del rinvio dell’art. 2315 c.c., anche per le Sas), il divieto di distribuire utili fittizi: non è quindi possibile ripartire delle somme tra soci se non per utili realmente conseguiti. Il reddito percepito dal socio in violazione di questa disposizione può essere considerato un utile conseguito dalla società in evasione di imposta (e, come tale, da tassare in capo al socio in ragione della trasparenza); in alternativa, l’ammontare prelevato può essere riqualificato in un compenso spettante per l’attività di amministrazione della società in capo ai soci amministratori.
Ulteriormente, l’art. 2262 c.c. (applicabile anche alla Snc e alla Sas, stante il richiamo operato dagli artt. 2293 e 2315 c.c.) prevede che, salvo patto contrario, ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto. L’orientamento che ritiene ammissibile il prelevamento di utili anche prima dell’approvazione del rendiconto valorizza l’inciso “salvo patto contrario” contenuto nel citato art. 2262 c.c., richiamando una pronuncia di legittimità in cui si è riconosciuta la possibilità, in una Snc, di imputare alcuni pagamenti della società a utili sociali di competenza del periodo in corso proprio sulla base della citata disposizione (si veda Cass. n. 10786/2003). Al contrario, la giurisprudenza più recente ha, in diverse occasioni, riconosciuto come il diritto dei soci di società di persone alla percezione degli utili sia subordinato all’approvazione del rendiconto (situazione contabile che equivale, quanto ai criteri fondamentali di valutazione, a quella di un bilancio. Si vedano: Cass. nn. 979/2021; 6028/2021; 17489/2018, 28806/2013).

Caso di specie

Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate notificava due distinti avvisi di accertamento ai soci di una Sas contestando, ai fini Irpef, un maggior reddito non dichiarato derivante da compensi per lavoro autonomo non abituale prestato in favore della società (ex art. 67, c. 1, lett. l) del Tuir). L’importo di questi compensi veniva fatto coincidere con i prelevamenti effettuati dai due soci dal conto corrente intestato alla società in modo ripetuto e ingiustificato. Contro questi due avvisi di accertamento, i soci proponevano ricorso alla C.T.P. territorialmente competente, ed evidenziavano la natura finanziaria del conto dal quale avevano effettuato i prelevamenti. Ulteriormente veniva rilevato un errore nel calcolo della somma prelevata e l’omessa rilevazione di maggiori redditi della società. Nel costituirsi in giudizio, l’Agenzia delle Entrate escludeva la natura di prestiti finanziari delle somme prelevate, mentre veniva ammesso di avere commesso un errore di calcolo.

La C.T.P. accoglieva parzialmente il ricorso unicamente sul punto relativo all’errore di calcolo (con conseguente rideterminazione in diminuzione del reddito accertato e non dichiarato); per il resto veniva rilevata l’assoluta assenza di prova in ordine alla natura di prestiti delle somme prelevate. Il successivo appello proposto dei soci veniva rigettato dalla C.T.R. della Lombardia in considerazione della totale assenza di prove (a carico dei contribuenti) in relazione sia alla destinazione di tali somme in favore della società, sia alle modalità di rientro o all’accredito di interessi o all’esistenza di disponibilità economiche ai fini della restituzione.

Nel conseguente ricorso in Cassazione, la Suprema Corte ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate ritenendo fondata la riqualificazione dei prelevamenti in redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente datassare in capo ai soci. In particolare, è stato evidenziato che, nel caso specifico, l’Ufficio non si era limitato ad accertare l’eccedenza dei prelievi operati dal conto corrente rispetto agli utili, ma aveva offerto ulteriori elementi idonei a dimostrare la rilevanza reddituale delle somme prelevate. In particolare, sono stati ritenuti indizi dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza:

  • la costanza dei prelievi;
  • la mancata restituzione delle somme prelevate;
  • l’impossibilità di ipotizzare la sussistenza di un finanziamento della società ai soci (stante l’assenza di accredito di interessi);
  • l’inesistenza di un’adeguata capacità economica del socio di restituire le somme prelevate.

Secondo la Cassazione tutti questi elementi erano sintomatici del fatto che, nel caso specifico, l’Agenzia delle Entrate aveva formato una prova “completa” dell’avvenuta percezione di somme a titolo di compenso per lavoro autonomo occasionale (e, come tali, soggette a tassazione).

La sentenza in commento si segnala per il fatto di avere confermato l’indirizzo ormai consolidato in base al quale, in assenza di un’idonea giustificazione, per i prelievi dai c/c intestati a società di persone può operare la presunzione di percezione di un maggior reddito da imputare per trasparenza sui soci. Si ricorda che, se la prova contraria è costituita dalla restituzione al socio di un finanziamento in precedenza erogato da quest’ultimo alla società, è necessario dimostrare non solo la presenza del finanziamento, ma anche la causalità tra l’accredito e il finanziamento medesimo (Cass. 20.10.2021, n. 29060).

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