Diritto del lavoro e legislazione sociale
19 Aprile 2024
La Cassazione dà ragione al dipendente e condanna il datore di lavoro a risarcirlo perché responsabile di non aver reso l’ambiente lavorativo meno “stressogeno”.
Sono molte le sentenze in materia di stress sul luogo di lavoro che si sono succedute nel tempo, soprattutto correlate a situazioni di mobbing o legate ad atteggiamenti vessatori (straining). Ma recentemente una pronuncia della Cassazione (sent. 19.01.2024, n. 2084) merita a mio parere una riflessione più attenta in quanto stabilisce che, affinché il dipendente maturi il diritto ad un risarcimento, è sufficiente che il datore di lavoro tolleri condizioni di lavoro stressogene oppure adotti delle condotte favorevoli alla creazione di un ambiente logorante e produttivo di ansia, tali da generare un pregiudizio per la salute.
È utile ricordare che, tra i doveri del datore di lavoro, la salvaguardia della sicurezza e dell’integrità del dipendente ha un ruolo prioritario. Lo stabilisce l’art. 2087 c.c. quando impone al datore di lavoro di “tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” ma anche l’art. 28 D.Lgs. 81/2008 che lo obbliga a valutare tutti i rischi dell’ambiente di lavoro, compresi quelli legati allo stress da lavoro correlato.
Uno sguardo va anche alla sentenza del Tribunale di Padova 6.03.2024, n. 171, in cui viene accertata la responsabilità datoriale nel rischio da stress causato dall’orario di lavoro straordinariooltre il limite previsto dalla legge e dai CCNL. Come noto, il D.Lgs. 66/2003 autorizza il ricorso ad ore di lavoro straordinario nel limite massimo di “solo” 250 ore per anno solare.