Società e contratti
16 Dicembre 2021
Queste le conseguenze a seguito della sentenza della Cassazione 30.11.2021, n. 37368.
L’art. 32, c. 1, n. 2, D.P.R. 600/1973 dispone che i versamenti e i prelevamenti sul conto corrente, per i quali il contribuente non è in grado di fornire idonea giustificazione, sono considerati come ricavi conseguiti nella propria attività. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 228/2014, ha sancito l’illegittimità costituzionale della parte relativa alla presunzione sui prelevamenti per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, asserendo che la norma può applicarsi ai soli imprenditori che dalla propria attività ottengono ricavi e non anche ai lavoratori autonomi che dalla propria attività ottengono compensi. La conseguenza è che tale precetto normativo, dopo l’intervento della Consulta, è limitato ai soli imprenditori, facendo salve tutte le altre categorie di persone fisiche: lavoratori autonomi e subordinati.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37368, depositata il 30.11.2021, è stata chiamata a decidere sulla controversia riguardante 2 soci amministratori di una società a responsabilità limitata, destinatari di un avviso di accertamento a seguito di indagini finanziarie con le quali era stato loro ascritto un maggior reddito presunto sulla base di movimentazioni di conto corrente non coerenti con i redditi dichiarati. La Suprema Corte, richiamando i principi fissati dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 2014, ha affermato l’assenza di ragionevolezza nella normativa che ascrive ai lavoratori autonomi la presunzione che da prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari si possano ipotizzare investimenti nell’ambito dell’attività professionale e che questi siano a loro volta produttivi di reddito. Avvisi di accertamenti pertanto illegittimi perché fondati su una norma dichiarata incostituzionale.
La Cassazione compie inoltre un’analisi sulla qualifica dei redditi conseguiti dai 2 soci amministratori, confutando che la qualifica di lavoratori dipendenti fosse stata accertata dai giudici di merito avendo conseguito, i 2 contribuenti accertati, solo redditi assimilati a lavoro dipendente. In buona sostanza, la qualifica di amministratore non equivale a quella di imprenditore, potendo l’amministratore svolgere attività di lavoro dipendente, ricorrendone i presupposti. Nella fattispecie, il rapporto tra la società e l’amministratore è stato ritenuto dai giudici di legittimità non riconducibile né alla categoria del lavoro subordinato, né a quella della collaborazione coordinata e continuativa, essendo piuttosto qualificabile come lavoro autonomo professionale ovvero qualificato come rapporto societario “tout court”.
In sintesi, la presunzione di cui all’art. 32, c. 1, n. 2, D.P.R. 600/1973, nei confronti degli esercenti attività di lavoro autonomo, può essere applicata soltanto in relazione ai versamenti non giustificati e non anche ai prelevamenti. Inoltre, prosegue la Suprema Corte, gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (nel caso in esame la sentenza della Consulta era intervenuta prima della definitività del giudizio di appello). Cassata quindi la sentenza con rinvio alla C.T.R. del Lazio che dovrà escludere dal computo la ripresa fiscale sui prelevamenti.