Società e contratti
05 Novembre 2024
Il D.D.L Bilancio 2025 prevede limitazioni agli investimenti per le società che ricevono contributi pubblici: non si potrà superare la media delle spese del triennio 2021-2023.
Il D.D.L Bilancio 2025 introduce una norma che rischia di frenare drasticamente la capacità di spesa e investimento delle società e degli enti che riceveranno contributi pubblici, diretti e indiretti, superiori a 100.000 euro a partire dal 1.01.2025. In base a tale disposizione, infatti, questi soggetti non potranno investire più della media delle somme spese nel triennio 2021-2023. Tale limitazione, contenuta nell’art. 112, c. 4 del disegno di legge, appare non solo rigida, ma anche potenzialmente dannosa per lo sviluppo economico.
La norma si ispira a un precedente del 2019, quando la legge di Bilancio per il 2020 aveva introdotto un concetto simile, ma limitato agli enti che ricevevano contributi straordinari o una tantum. Ora, invece, la portata della disposizione si estende a tutte le società e gli enti che riceveranno qualsiasi tipo di contributo pubblico “significativo”, termine che sarà definito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del MEF entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge.
Il problema principale è che questa norma impone un limite rigido agli investimenti futuri, basandosi su una media storica di spese passate, senza tener conto delle reali esigenze o delle opportunità economiche che potrebbero presentarsi. Ciò significa che anche in presenza di contributi pubblici destinati a progetti di grande rilevanza strategica, le società e gli enti non potranno utilizzarli pienamente se l’importo dell’investimento supera la media delle spese effettuate nel triennio precedente. Questa rigidità potrebbe paralizzare enti e imprese che operano in settori dove gli investimenti sono ciclici o dove le opportunità possono variare significativamente da un anno all’altro.
Inoltre, la norma presenta numerose criticità interpretative. Non è chiaro se il limite imposto si applichi solo agli investimenti futuri o anche a quelli già deliberati ma non ancora eseguiti al 1.01.2025. Questo potrebbe portare a interpretazioni retroattive della disposizione, con conseguenze legali e finanziarie rilevanti per i soggetti coinvolti.
Un ulteriore punto di incertezza riguarda il tipo di spese considerate nel calcolo della media triennale: la norma parla genericamente di “spese per l’acquisto di beni e servizi”, senza specificare se includa anche investimenti immateriali come software o brevetti. Non meno preoccupante è il fatto che tale disposizione penalizza proprio quegli enti e quelle società che hanno gestito con maggiore prudenza le proprie risorse negli anni precedenti. Paradossalmente, chi ha speso meno nel triennio 2021-2023 sarà più penalizzato rispetto a chi ha mantenuto livelli di spesa elevati, indipendentemente dall’efficacia degli investimenti effettuati.
Oltre alle problematiche pratiche ed economiche, non si possono escludere possibili profili di incostituzionalità della norma. In particolare, potrebbe essere violato il principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost., poiché la limitazione imposta appare arbitraria e priva di una giustificazione logica adeguata alle diverse situazioni economiche dei soggetti coinvolti. Inoltre, la rigidità della norma potrebbe entrare in contrasto con il principio dell’autonomia finanziaria garantito dall’art. 119 Cost. agli enti locali e regionali. Anche l’eventuale applicazione retroattiva della disposizione potrebbe sollevare dubbi di legittimità costituzionale, in quanto violerebbe il principio generale secondo cui le norme non possono avere effetti retroattivi se non espressamente previsto dalla legge e giustificato da esigenze imperative.
In conclusione, questa norma sembra essere più un tentativo maldestro di controllo della spesa pubblica piuttosto che un vero strumento per incentivare lo sviluppo economico del Paese. Il rischio concreto è che essa finisca per bloccare gli investimenti necessari alla crescita e alla modernizzazione dell’economia italiana, con effetti negativi su settori strategici e sull’intero sistema produttivo nazionale. Si auspica che il Parlamento vada a modificare sostanzialmente questa disposizione.