Accertamento, riscossione e contenzioso
11 Luglio 2024
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 1.07.2024, n. 18038, ha ritenuto fondato il ricorso del contribuente per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18038/2024, ha ritenuto fondato il ricorso del contribuente per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, entrambi aventi la propria fonte giuridica negli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ritenendo necessario, in quanto socio receduto, che gli venga notificato anche l’atto impositivo della società.
Secondo la prospettazione difensiva, tale lesione si era concretizzata nella circostanza che l’avviso notificato recava solo il numero del diverso avviso emesso a carico della Società e gli utili ricostruiti nei periodi di imposta, senza l’allegazione dell’avviso di rettifica emesso ai danni della Società, in una data nella quale il socio aveva già dismesso la propria partecipazione sociale. Così testualmente il giudice di Cassazione: “Premesso che, pur facendo riferimento alla violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, la ricorrente ha sostanzialmente denunciato l’illegittimità dell’avviso di accertamento perché privo della necessaria motivazione, va osservato che, di recente, questa Corte ha inaugurato un orientamento che il Collegio condivide”.
Si è, infatti, statuito con ordinanza 10.02.2022, n. 4239 che “in tema di accertamento nei confronti del socio di società a ristretta base sociale, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento ed il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo, il socio sia receduto dalla compagine sociale, è nullo l’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, quando esso, rinviando “per relationem” alla motivazione dell’avviso di accertamento notificato alla società, manchi dell’allegazione della documentazione citata o della riproduzione dei suoi contenuti essenziali”.
Sempre per la Cassazione se è corretta l’interpretazione che riconosce in capo al socio la conoscibilità degli atti indirizzati alla società, anche per la peculiare ristrettezza della compagine sociale, non può però essere affermato che il socio receduto abbia accesso agli atti e alla documentazione sociale, così come prevedono gli artt. 2261 e 2320 c.c. per le società di persone, oppure l’art. 2476, c. 2 del c.c., per le società a responsabilità limitata. Ci si troverebbe, in altri termini, di fronte ad un soggetto che, ricevuta notificazione di un avviso d’accertamento con il quale gli si ridetermina il reddito da partecipazione in una società, di cui non è più socio, ma relativamente ad una annualità in cui era tale, deve apprestare nei successivi 60 giorni la propria difesa (o anche solo valutare se tale impugnazione è conveniente), senza alcuna garanzia di accesso alla documentazione notificata alla società, cui per relationem fa rinvio l’atto impositivo ricevuto.
Senz’altro condivisibile, in quanto garantista, appare essere il citato passo della Cassazione.
Tuttavia, la questione che rimane dibattuta riguarda l’ampiezza dei motivi d’impugnazione che dispone il socio (e non solo quello receduto) avverso il proprio atto impositivo. Se, in altri termini, la difesa processuale può investire anche i motivi alla base della ripresa fiscale imputata alla società, come chi scrive ritiene, oppure se tale difesa debba essere ritenuta limitata alla prova della non distribuibilità degli asseriti utili extracontabili.
A tal proposito in Dottrina (A. Contrino, “La definitività dell’accertamento della società non può mai essere opposta al socio che ha il pieno diritto costituzionalmente tutelato di avversare tutti i presupposti del proprio successivo atto impositivo”, in Rass. Trib. n. 5/2013) si sottolinea come neppure la cosa giudicata sostanziale nei confronti della società, possa legittimamente precludere al socio il diritto di difesa in ordine a tutti i presupposti fondativi il proprio atto impositivo e ciò in virtù dell’ordinanza della Corte Costituzionale 29.01.1998, n. 5.
Per il citato Autore nel giudizio instaurato dal socio con l’impugnazione del proprio atto il ricorrente è il socio e la materia del contendere è costituita dal predetto atto impositivo che accerta un suo maggior reddito personale. Orbene è del tutto evidente che il socio è soggetto del tutto distinto dalla società accertata e che egli ha il pieno diritto di avversare tutti i presupposti alla base del proprio successivo atto impositivo e ciò per almeno due fondamentali ragioni. La prima è rinvenibile nel principio generale secondo cui il destinatario di ogni atto di accertamento ha il diritto di contestare tutti i presupposti di fatto e di diritto (nessuno escluso) su cui si fonda la pretesa fiscale mossa nei suoi confronti. La seconda ragione è che anche la definitività di un atto impositivo non può mai essere opposta ad un soggetto al quale l’Amministrazione Finanziaria non abbia personalmente rivolto la sua attività impositiva, così come non può mai essere preteso che il giudicato faccia stato nei confronti di un terzo estraneo alle parti processuali.
Tale punto di vista dottrinale è tanto più vero se appena si considera che, come messo in evidenza dalla stessa Corte di Cassazione, per le società di capitali , comprese quelle asserite a ristretta base partecipativa, non ricorre l’ipotesi del litisconsorzio necessario (affermato solo per le società di persone) e, dunque, il socio non è legittimato ad impugnare l’avviso di accertamento notificato alla società: l’unico soggetto nella condizione giuridicamente potestativa di farlo è, infatti, la sola società destinataria dell’atto medesimo, per cui il socio non può essere ritenuto vincolato al punto di vedersi preclusa in radice ogni difesa se la società non impugna il predetto avviso facendolo diventare definitivo.
Nel mettere in discussione il maggior utile accertato alla società, contestandone i relativi presupposti, il socio non impugna affatto l’atto di accertamento della società e non pretende che le situazioni connesse al debito tributario contestato alla medesima siano modificate. Il socio si limita legittimamente a contestare nel suo presupposto fondativo il proprio maggior reddito che sarebbe costituito da una parte dell’utile occulto accertato alla società: questa pretesa sussistenza di un utile in nero, da cui scaturisce il dividendo occulto contestato al socio, rappresenta con tutta evidenza un presupposto di fatto dell’accertamento a carico del socio e, dunque, è materia del giudizio relativo al suo atto impositivo che non può non essere contestato in ogni sua parte proprio in virtù del diritto di difesa non comprimibile ex art 24 della Costituzione.
A tale specifico proposito non può essere considerato un caso che nel nostro ordinamento giuridico non vi sia traccia di una disposizione che in modo espresso disponga in ordine ad una tale preclusione e proprio ad avvallo di tale principio va segnalato che, prima della sentenza con cui le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 4.06.2008, n. 14815) hanno riconosciuto l’esistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra le società di persone e i soci della stessa, la Corte Costituzionale, con ordinanza 29.01.1998, aveva sancito, dettando una soluzione di principio del tutto conforme a quella che si espone che, nell’ipotesi di una società di persone, deve sempre essere ritenuto consentito al socio la possibilità di tutelare i suoi diritti, contestando anche nel merito l’accertamento del suo reddito di partecipazione, nonostante l’intervenuta definitività dell’accertamento del reddito societario, pena la manifesta violazione dell’art. 24 della Carta Fondamentale.
Conclusivamente, quello che appare maggiormente rispondente a diritto è che il socio possa, in assenza del riconoscimento del litisconsorzio processuale anche per le società di capitali a ristretta base sociale, avversare il proprio atto impositivo senza incontrare alcun limite al personale diritto di difesa.