IVA

18 Marzo 2024

Società di comodo, gli effetti della sentenza europea

La Corte di Giustizia UE ha dichiarato l'incompatibilità della disciplina italiana per le società di comodo rispetto alle regole che governano il sistema dell'Iva e, in particolare, riguardo al principio di neutralità dell'Iva. Gli effetti sono immediati per tutti i casi di contestazione.

Nel caso esaminato dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza 7.03.2024, causa C-341/22 (Feudi di San Gregorio), una società è stata considerata non operativa dalle Entrate per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008. Pertanto, alla stessa è stato negato il diritto alla detrazione Iva. La questione, arrivata in Cassazione, è legata all’applicazione dell’art. 30 L. 724/1994 che, notoriamente, prevede limitazioni al diritto alla detrazione dell’Iva per le società di comodo.

La Corte di Giustizia Europea ha rilevato l’incompatibilità di questa disposizione con la direttiva Iva ovvero, in particolare, in primo luogo, con le nozioni di “soggettività passiva Iva” e di “attività economica” (art. 9 della direttiva Iva) e, in secondo luogo, con il diritto alla detrazione (art. 167 della direttiva Iva) e il principio di neutralità dell’imposta.

Tra le varie motivazioni, la Corte di Giustizia ha sottolineato che la qualità di soggetto passivo Iva non è subordinata al fatto che il valore economico delle operazioni rilevanti effettuate da un soggetto superi una soglia di reddito previamente fissata. Infatti, per poter essere considerato soggetto passivo Iva occorre unicamente l’esercizio effettivo di un’attività economica, senza ricavi minimi da garantire.

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Dalla citata sentenza della Corte Ue derivano importanti conseguenze, stante l’obbligo (da un lato) dei giudici nazionali di dover disapplicare la normativa contraria alle previsioni della Corte di Giustizia Europea e (dall’altro) degli Uffici finanziari di doversi adeguare alle stesse.

Nello specifico, la sentenza è in grado di produrre effetti immediati in relazione a tutti i rapporti (non esauriti) in cui al contribuente dovesse essere stato negato il diritto alla detrazione dell’Iva ai sensi dell’art. 30 L. 724/1994. In particolare, è possibile distinguere i seguenti casi:

  • contribuenti che hanno già ricevuto un PVC: in questo caso, in sede di contraddittorio o di presentazione delle controdeduzioni al PVC, sarà possibile richiamare la sentenza C-341/22 al fine di chiedere lo stralcio del rilievo;
  • contribuenti che hanno ricevuto un avviso di accertamento (ovvero il diniego al rimborso del credito Iva): in questo caso sarà possibile presentare un’istanza di autotutela (ex art. 10-quater, lett. e) L. 212/2000) all’Ufficio che ha emesso l’atto (purché l’atto sia ancora impugnabile o non sia decorso oltre 1 anno dalla sua definitività) con la richiesta di annullamento per la venuta meno del presupposto impositivo. In assenza di autotutela da parte dell’Ufficio, sarà possibile impugnare l’atto (se ancora nei termini) oppure il diniego all’autotutela (a quest’ultimo riguardo, infatti, si ricorda che l’art. 19 D.Lgs. 546/1992 ricomprende tra gli atti impugnabili anche il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela obbligatoria e il rifiuto espresso sull’istanza di autotutela facoltativa);
  • contribuenti con un contenzioso pendente: in questo caso sarà possibile depositare in giudizio una memoria per chiedere la disapplicazione dell’art. 30 L. 724/1994 alla luce della sentenza della Corte UE e il conseguente accoglimento del ricorso, essendo venuto meno il relativo presupposto impositivo.

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