Revisione e controllo

08 Giugno 2024

Sindaci e revisori: dalla responsabilità solidale a quella limitata

Verso la modifica dell'art. 2407 del c.c, che mira a sostituire la responsabilità gravante sui membri dei collegi sindacali delle società per azioni, attualmente di tipo solidale con gli amministratori, con un sistema di responsabilità limitata basato sul compenso annuo percepito.

Il 29.05.2024 l’aula della Camera ha approvato il “progetto di legge n. 1276” contenete la modifica dell’art. 2407 c.c., in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale. Il testo ora passa all’esame del Senato. Andiamo con ordine e descriviamo le novità.

Dal punto di vista formale, le modifiche all’art. 2407 c.c. si limitano in realtà alla sostituzione del c. 2 e all’aggiunta di un comma finale; dal punto di vista sostanziale, tuttavia, la modifica incide radicalmente sul regime di responsabilità dei sindaci delle società per azioni.

Commi non modificati

I commi non modificati dalla proposta in esame, ovvero i cc. 1 e 3, stabiliscono, rispettivamente che:

  • i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico, sono responsabili della veridicità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio;
  • all’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395 c.c., cioè quelle che disciplinano le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori societari.

Riscrittura c. 2

In particolare, il c. 2, dell’art. 2407 c.c., viene riscritto al fine di introdurre un sistema di limitazione di responsabilità dei sindaci a fronte dell’attuale sistema basato sulla responsabilità solidale dei sindaci per i fatti o le omissioni degli amministratori. In particolare, secondo la normativa vigente, i sindaci rispondono solidalmente se il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato conformemente a quanto richiesto dalla carica rivestita.
Il nuovo c. 2, nel ribadire che i sindaci che abbiano agito (o omesso di agire) in violazione dei propri doveri sono responsabili nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi, ne circoscrive tuttavia l’entità ad un multiplo del compenso annuo percepito dal sindaco medesimo, secondo il seguente schema che prevede 3 scaglioni:

  • fino a 10.000 euro, 15 volte il compenso;
  • da 10.000 a 50.000 euro, 12 volte il compenso;
  • oltre 50.000 euro, 10 volte il compenso.

Prescrizione

L’ultimo comma, dell’art. 2407 c.c., aggiunto dalla proposta in esame, inserisce un termine di prescrizione di 5 anni per esercitare l’azione di responsabilità verso i sindaci, decorrente dal momento del deposito della relazione dei sindaci, allegata al bilancio relativo all’esercizio in cui si è verificato il danno, ai sensi dell’art. 2429 c.c..

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Dal punto di vista del riparto delle competenze legislative, le disposizioni recate dal provvedimento in esame riguardano l’ordinamento civile, materia di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, c. 2, lett. l) della Costituzione.

Disciplina generale responsabilità civile dei sindaci

Il tema della responsabilità civile dei sindaci, solidale senza limiti con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi costituisce da sempre uno dei punti più critici della governance delle società di capitali. Ai sensi dell’attuale art. 2407, c. 2 c.c., i sindaci rispondono in solido con gli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi derivanti dalla carica.

Senza quindi operare alcuna distinzione tra le due funzioni, amministratori e sindaci, quindi gestori e controllori, vengono posti, in tema di responsabilità, sullo stesso piano, con l’applicazione, per i secondi, spesso di elementi propri più della normativa penale, fondati sul concetto di “dolo eventuale” in relazione alla commissione di un “reato omissivo proprio”, secondo la fattispecie dell’art. 40, secondo capoverso, c.p., ai sensi del quale “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

A ciò si aggiunga che altrettanto spesso gli emolumenti degli amministratori sono di gran lunga superiori a quelli deliberati a favore dei sindaci, per quanto la recente L. 21.04.2023, n. 49, in materia di equo compenso abbia, a determinate condizioni, cercato di porre un qualche rimedio a tale situazione.

Pur nella consapevolezza del ruolo di garanzia che, anche secondo la più recente versione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza il legislatore e il sistema economico attribuiscono oggi all’organo di controllo, è giunto il momento di prevedere che i componenti debbano essere sanzionati solo per ciò che abbiano effettivamente compiuto o omesso, sulla base di elementi e fatti conosciuti in quello specifico momento e non secondo troppo facili ricostruzioni ex post, provando la sussistenza e la presenza di “dolo specifico”, con una correlazione diretta della quantificazione del danno in sede civilistica.

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Quanto sopra appare oltremodo urgente, alla luce del rigore di molte pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità. In diverse occasioni, la Corte di Cassazione ha ricordato la necessità che il nesso tra violazione dei doveri di vigilanza e consumazione del reato debba essere provato in maniera rigorosa, verificando che il mancato attivarsi da parte del sindaco “abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori”.

Tuttavia, nella pratica, questo si è tradotto e si traduce nell’avvio di azioni pressoché automatiche contro l’organo di controllo all’interno delle procedure concorsuali, a seguito di azioni contro gli amministratori talvolta per presunte responsabilità oggettive, al solo fine di incrementare l’attivo della procedura attingendo alle polizze dei professionisti, unici soggetti obbligati a stipularle. Non è un mistero che l’attività di sindaco sia quella che le polizze definiscono a maggiore rischiosità, anche per la sproporzione presente tra l’atto commesso e la responsabilità imputata. Poiché concorrente, la pretesa risarcitoria è la medesima per chi ha commesso il fatto e per chi ha vigilato, senza considerare la potenzialità di conoscenza e la possibilità di intervento da parte del sindaco. A questo segue quindi una curiosa e peculiare inversione dell’onere della prova, poiché, nei fatti, i sindaci si trovano a dover dimostrare l’inesistenza di ogni ipotesi di negligenza.

L’anomalia è indotta dall’attuale contesto normativo che dovrebbe limitare la chiamata in responsabilità dei sindaci soltanto all’ipotesi di accertata inerzia nello svolgimento dell’opera di controllo, quando sia stata la causa determinante del danno, senza indulgere in automatismi, ma anche da una prassi giudiziaria che non avverte l’effetto devastante sul professionista dell’azione in quanto tale, non riparato dal riconoscimento successivo e tardivo dell’assenza di responsabilità.

In ordine al rapporto di causalità tra il comportamento omissivo e l’evento, si è altresì affermato, in particolare, che “si tratta sostanzialmente di un giudizio prognostico incentrato sul fatto che, senza il comportamento omissivo e con il concreto esercizio dell’attività doverosa, l’evento non si sarebbe verificato” precisando, però, che la valutazione di probabilità “deve essere tale da avvicinarsi al massimo, attraverso l’utilizzazione di tutti gli elementi acquisiti, la valutazione delle circostanze di fatto e l’applicazione di criteri di ordine logico, alla certezza” (Corte di cassazione, sezione V, 28.02.1991).

Quanto sopra è stato confermato anche dalla sentenza della Corte di Cassazione 12.07.2019 n. 18770, che continua ad inscriversi in un contesto giurisprudenziale che, specie a livello di pronunce di legittimità, manifesta un atteggiamento di particolare rigore nella valutazione della responsabilità dei sindaci. Un rigore che, nei fatti, finisce, talvolta, per tradursi nell’imputazione ai sindaci di una responsabilità da posizione, di tipo oggettivo, sganciata da qualunque valutazione delle peculiarità del caso concreto e dell’effettiva possibilità, per i sindaci, di percepire l’illecito commesso dall’organo amministrativo.

Si ha la netta sensazione che il flusso di sentenze che si sono succedute nell’ultimo quindicennio stia alimentando il passaggio dal tristemente noto criterio del “non poteva non sapere” a quello, non meno allarmante, del “non può non essere in colpa”. Spesso, l’orientamento della giurisprudenza è stato quello di un nesso causale automatico, presunto, senza verificare gli effettivi poteri in capo ai sindaci idonei ad impedire l’evento.

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