Diritto
02 Gennaio 2023
L'assenza di data certa della scrittura privata che documenta il contratto, implica che il creditore non possa far valere nei confronti del fallimento alcun diritto di credito che si fondi sul tale titolo negoziale.
La Cassazione civile, sez. I, con la sentenza 14.12.2022, n. 36602, è intervenuta sul seguente caso: una banca ha chiesto l’ammissione al passivo del fallimento di una società per azioni di 2 crediti, pretesi l’uno a titolo di scoperto del conto corrente e l’altro a titolo di rimborso del finanziamento chirografario erogato alla società poi fallita.
Il giudice del merito aveva disposto l’ammissione della banca opponente al passivo del fallimento, limitandosi, in assenza di data certa dei contratti, a non considerare opponibili le sole clausole contrattuali.
La Suprema Corte ha precisato che il requisito della data certa è riferito all’efficacia che può avere una scrittura privata nei confronti dei soggetti terzi che non ne siano sottoscrittori e, quindi, all’attitudine del documento a produrre effetti in capo a tali soggetti.
Se il contratto è soggetto alla forma scritta a pena di nullità, lo stesso deve essere documentato da uno scritto munito di data certa anteriore all’apertura della procedura concorsuale. Non è possibile, peraltro, fornire riscontro del contratto, quale fatto costitutivo del credito che si intende insinuare al passivo del fallimento, con altri mezzi di prova, come, in ipotesi, la prova testimoniale o la prova per presunzioni, giacché il regime formale dell’atto, che osta, del resto, all’ammissione delle prove suddette (artt. 2725 e 2729, c. 2 c.c.), impedisce che il negozio privo della forma prescritta possa essere fatto valere come fonte di diritti e possa esserlo, in particolare, nei confronti della procedura concorsuale.
Risulta coerente con tale ordine di considerazioni l’affermazione per cui l’insinuazione al passivo di una procedura di amministrazione straordinaria di un credito fondato su di un contratto di conto corrente bancario, per la validità del quale è prevista la forma scritta ad substantiam, postula l’accertamento dell’anteriorità della data di quest’ultimo, ex art. 2704, c. 1 c.c., rispetto alla sentenza dichiarativa dell’insolvenza, in ragione della terzietà dell’organo gestore della procedura verso i creditori concorsuali e il debitore, senza che la banca possa avvalersi, a fini probatori del credito invocato, degli estratti del conto stesso.
Per concludere, in assenza della condizione consistente nell’acquisizione al giudizio del documento, avente data certa anteriore al fallimento, che incorpora il contratto soggetto alla forma scritta (e tale è il contratto bancario, secondo l’art. 117, c. 1, t.u.b.), non vi è modo di affermare che vi sia prova della sussistenza della fonte negoziale sulla quale si fonda la pretesa creditoria. Se, infatti, il titolo contrattuale è inopponibile al fallimento, esso non può essere fatto valere, nei confronti della procedura, quale fonte di alcuna attribuzione patrimoniale, riguardi essa gli interessi o il capitale. Il fatto costitutivo della pretesa del creditore insinuato dovrà ricercarsi altrove: in altro contratto la cui documentazione sia opponibile al fallimento o in un titolo di diversa natura, come, in via di mera ipotesi, il pagamento dell’indebito o l’arricchimento senza causa. La pronuncia impugnata è stata, dunque, ritenuta errata per avere ritenuto inopponibili al fallimento le sole (e non meglio indicate) “clausole contrattuali“, laddove, a monte, l’assenza della condizione di cui all’art. 2704 c.c. precludeva, per quanto detto, che la banca potesse invocare, nei confronti della procedura alcuna voce di credito basata sui titoli negoziali.