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08 Aprile 2024
Perché bisogna rispettare i principi etici e agire con rettitudine e integrità morale, onorare pedissequamente il codice deontologico, quando sappiamo benissimo che, usando mezzi illeciti, molti colleghi si sono arricchiti, guadagnando pure prestigio?
Nell’arena dei dibattiti morali, ad affrontare temi etici, si corre il rischio di essere derisi. E poi, sottovoce, diciamocelo: molti pensano che sia un argomento teorico, di facciata. Ma è davvero così? Non credo. È una scelta che richiede coraggio, perché discutere di etica è utile per costruire una base solida della coscienza.
L’agire morale è un’opzione conveniente e, per quanto dirò a breve, anche piacevole. A dirla tutta, discutere di etica è anche una decisione faticosa, un correre a perdifiato, perché ci tocca spiegare come mai la rettitudine, l’esercizio del proprio dovere, l’agire da professionisti rispettosi delle leggi e delle istituzioni, come divulgatori del senso civico e della giustizia, sia da preferire alla furfanteria. E allora: “Perché dobbiamo essere onesti, leali e corretti?” Se la risposta è perché lo prevede la legge e la trasgressione della norma è sanzionata, siamo fuori strada. Le persone oneste non sono tali per timore del magistrato.
Le leggi disciplinano il vivere quotidiano e ci guidano per evitare sopraffazione, ma, se noi esercitiamo la libera professione con serietà, competenza e spirito di servizio, non lo facciamo per aderire a un codice, ma perché una salda certezza interiore ci conforta. Il rigore morale è qualcosa che comincia a formarsi sin da bambini. È un costrutto personale, d’accordo, ma è anche una scelta: il prodotto di una volontà, di un’autodisciplina che, come ogni altra virtù e abilità, richiede impegno, esercizio pratico.