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28 Dicembre 2024
Da quando l'IA è diventata parte della nostra quotidianità, la domanda costante è: "L'AI ci ruberà il lavoro?".
Ora, se a dire la sua sull’argomento è semplicemente Sam Altman, CEO di OpenAI e uno degli artefici di questa rivoluzione confermando la preoccupazione dilagante non c’è di certo di che stare allegri. È la prima volta che il CEO di OpenAI prende una posizione così netta e diretta su un argomento tanto delicato e controverso ammettendo che l’intelligenza artificiale avrà un effetto inevitabile sulla struttura occupazionale globale. I lavori manuali e ripetitivi saranno i primi a scomparire, ma l’automazione coinvolgerà progressivamente anche attività intellettuali.
L’IA, con la sua capacità di svolgere compiti complessi, porterà a una riduzione della domanda di manodopera tradizionale. Tuttavia, secondo Altman, questa trasformazione non deve essere interpretata solo come una minaccia. Nuove professioni emergeranno, spesso più gratificanti e stimolanti, spostando il focus verso attività creative e specializzate che richiedono abilità uniche proprie dell’essere umano.
Come nelle grandi rivoluzioni del passato, alcune figure professionali diventeranno obsolete. Altman ha paragonato l’evoluzione odierna a quella che rese superfluo il lavoro dei lampionai con l’introduzione dell’energia elettrica. La sfida consisterà nel trovare nuovi modi di creare valore, adattandosi alle trasformazioni tecnologiche.
Questa volta però a subirne le conseguenze non sarà il lavoro fisico e meccanico: l’IA sta dimostrando capacità di elaborazione cognitiva che potrebbero rivaleggiare, e in alcuni casi superare, molte professioni intellettuali tradizionali. Il cambiamento che ci attende sarà tuttavia più complesso e sfumato di quanto si possa inizialmente pensare. Le professioni non scompariranno semplicemente, ma subiranno una metamorfosi profonda, richiedendo nuove competenze, approcci innovativi e una capacità di adattamento senza precedenti.
Una delle preoccupazioni più rilevanti riguarda l’accentuarsi della disuguaglianza economica. Jeffrey Hinton, altra figura di spicco nel mondo dell’IA, ha sollevato il problema della concentrazione della ricchezza. L’aumento della produttività generato dall’IA potrebbe infatti arricchire solo una piccola élite, ampliando il divario tra ricchi e poveri.
Per mitigare il rischio di disuguaglianza economica causata dall’automazione, si discute del reddito di base universale (UBI). Altman e Hinton sostengono che un minimo sostegno economico può proteggere chi perderà il lavoro, ma riconoscono che il lavoro è anche fonte di dignità personale.
Un altro player del settore, Bill Gates, ha definito l’intelligenza artificiale come la prima tecnologia senza confini. A differenza delle innovazioni precedenti, come il trattore o lo smartphone, l’IA è in grado di replicare compiti sia manuali che intellettuali, senza limiti apparenti. Questo apre scenari positivi come:
– l’accesso universale a un’istruzione personalizzata, supportata da tutor virtuali;
– la miglior gestione della salute globale, grazie a diagnosi mediche rapide e precise;
– la riduzione del carico lavorativo per compiti noiosi, dando spazio ad attività più significative.
Tuttavia, la velocità del cambiamento impone riflessioni sui possibili rischi. Governi e società potrebbero non essere pronti ad adattarsi alle nuove dinamiche, con conseguenti crisi economiche e sociali. Altman ha avvertito che una gestione inadeguata della transizione potrebbe creare instabilità paragonabili a quella della pandemia del 2020. E se lo dice Bill Gates …