Imposte dirette
11 Dicembre 2020
La risposta all'interpello n. 354/2020 mette in luce diversi elementi da tenere in considerazione nei rapporti tra società italiane e lavoratori autonomi stranieri.
Il perimetro di applicazione della ritenuta applicabile alle collaborazioni autonome non comprende le prestazioni svolte all’estero. Lo conferma l’Agenzia delle Entrate. Limitatamente ai collaboratori non residenti, infatti, si applica l’art. 23, c. 1, lett. d) del Tuir secondo il quale sono soggetti a tassazione in Italia i soli redditi da lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato. A tale norma corrisponde, sotto il profilo degli adempimenti, l’art. 25, c. 2, D.P.R. 600/1973: tale norma richiede ai sostituti di imposta italiani che corrispondono i predetti redditi da lavoro autonomo, l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%. Tale ritenuta non si applica, appunto, ai compensi per le prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e a quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Per escludere la ritenuta, dunque, occorrono 2 elementi: svolgimento della prestazione all’estero e residenza estera.
Sul primo elemento (svolgimento della prestazione all’estero) l’Agenzia parte dall’ipotesi che una parte della prestazione si può svolgere in Italia. In questo caso, qualora la prestazione non assuma una rilevanza tale da potersi considerare autonoma, tutta la prestazione si considera svolta all’estero. Il caso esaminato dall’Agenzia riguarda un artista incaricato di eseguire i concerti all’estero e le prove in Italia. L’Agenzia ha riconosciuto che le prove, per le quali non era previsto alcun compenso, non caratterizzavano la prestazione: pertanto, non era possibile attribuire parte del compenso alla prestazione svolta in Italia.
Sul secondo elemento (residenza estera) l’Agenzia ricorda una prassi che risale alla risoluzione 3.02.1977, n. 762: la residenza estera va dimostrata mediante esibizione di apposita certificazione di residenza fiscale all’estero, rilasciata dalla competente autorità fiscale estera.
Infine, l’Agenzia ricorda che la disciplina convenzionale prevede una distinzione tra attività artistiche e attività derivanti da altre attività di lavoro autonomo. Ai rapporti con gli artisti torna applicabile la disciplina convenzionale contenuta nell’art. 17 delle Convenzioni stipulate dall’Italia e conforme ai modelli OCSE. La disciplina comporta una tassazione non esclusiva del Paese di residenza, sicché l’Italia conserva il diritto concorrente di tassare il reddito degli artisti per le prestazioni svolte in Italia.
Per le altre prestazioni professionali (diverse da quelle artistiche) dei lavoratori autonomi non residenti, la norma convenzionale (dove applicabile) prevede la tassazione esclusiva del Paese della residenza; il lavoratore autonomo, residente di un Paese che ha stipulato una Convenzione con l’Italia, non subirà mai tassazione italiana nemmeno quando la prestazione avviene in tutto o in parte nel nostro Paese. Per evitare la ritenuta, comunque, il lavoratore autonomo dovrà fornire al committente idonea certificazione della propria residenza fiscale, quindi un certificato vistato dalla autorità fiscale di competenza.