Diritto privato, commerciale e amministrativo
13 Maggio 2024
L’esercizio del diritto del titolare rimasto inerte può configurare un abuso del diritto quando l’inerzia ha ingenerato nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento della remissione del debito, ma non quando l’inerzia dipenda da fattori esterni limitanti.
La Suprema Corte in un’isolata pronuncia (Cass. Civ. 14.06.2021 n.16743) aveva ritenuto configurasse abuso del diritto la condotta del locatore che, dopo aver manifestato assoluta inerzia per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenere il pagamento del canone dovuto, ingenerando così nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito“per facta concludentia”, dedica di formulare un’improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato. Ciò in quanto, anche nell’esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive e a esecuzione continuata, trova applicazione il principio di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che impegna ciascuna delle parti a preservare l’interesse dell’altra nei limiti del proprio apprezzabile sacrificio.
Ritornata sulla questione, la Corte di legittimità (Cass. Civ. 26.4.2024 n. 11219) ha precisato che tale principio richiamato dal precedente giurisprudenziale in merito ad una locazione ad uso abitativo non si può configurare in caso di locazione commerciale e che comunque l’abuso del diritto si configura solo quando l’inerzia del titolare è tale da ingenerare nella controparte il ragionevole e apprezzabile affidamento nella remissione del debito per facta concludentia, e quindi non quando la mancata richiesta di corresponsione dei canoni dipende da fattori esterni che limitino la legittimazione ad agire della proprietaria o rendano impossibile o difficile l’esercizio del diritto (immobile sottoposto a pignoramento con nomina di un custode cui spetterebbe la legittimazione all’incasso).
L’orientamento di cui sopra si traduce inoltre in un’incondizionata apertura all’operatività nell’ordinamento italiano di un istituto ad esso sconosciuto, consistente nella Verwikung del diritto tedesco, quale consumazione del diritto collegato all’inattività del titolare, di cui il codice tedesco tradizionalmente fa applicazione in materia di provvigione del mediatore e del diritto al pagamento della clausola penale. Questo istituto trova fondamento nel principio, basato sulla buona fede, secondo cui, anche prima del decorso del termine di prescrizione, il mancato esercizio di un diritto creditorio o potestativo, protrattosi per un conveniente lasso di tempo, imputabile al suo titolare, faccia sorgere nella controparte un ragionevole ed apprezzabile affidamento sul definitivo non esercizio del diritto, costituendo abuso del diritto, quale forma del ritardo sleale dell’esercizio del diritto, con conseguente rifiuto della tutela giudiziale.
Sebbene anche nell’ordinamento italiano analoghe conseguenze siano state talora collegate a fattispecie peculiari in ambito del lavoro (ritardo del datore di lavoro nel contestare la giusta causa del licenziamento) tuttavia nell’ordinamento non può darsi ingresso in via generale al principio citato.
La volontà tacita di rinunciare a un diritto si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l’inerzia o il ritardo nell’esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per sé, a dedurne la volontà di rinuncia, potendo essere frutto di ignoranza, temporaneo impedimento, spiegando rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva.
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