Consulenza aziendale, commerciale e marketing
11 Giugno 2021
Come gestire le conseguenze psicofisiche dopo l'incredibile carico di lavoro che si è riversato sulla categoria durante il lockdown.
Ci sono momenti in cui il livello di stress della professione supera i limiti fisici e mentali che il nostro corpo può permettersi. In questi casi – per fortuna rari ma purtroppo in crescita – può essere diagnosticata la sindrome del “burnout”, termine che significa “bruciato, cotto, esaurito”. Parole che definiscono in modo efficace questa sindrome, che in passato veniva diagnosticata solo per le professioni mediche mentre recentemente viene riscontrata anche in altri ambiti non dell’area medica ma amministrativa: commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati, ecc.
La persona che ne è affetta presenta molteplici sintomi fisici e mentali, ad esempio stanchezza, cefalea, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno accompagnati da un distacco emotivo, senso di inadeguatezza e fallimento, depressione, perdita dell’entusiasmo, incapacità di recupero delle energie, depersonalizzazione, ecc. In alcuni casi il burnout può allargarsi a tutto lo studio, che entra in crisi. Per la diagnosi è necessario rivolgersi a uno specialista, perché molti sintomi singolarmente individuati caratterizzano l’attività professionale di ciascuno di noi e possono riferirsi anche ad altre patologie, per cui è molto importante farsi seguire da esperti e non procedere con il fai-da-te su internet.
Ma perché anche il professionista dell’area amministrativa è soggetto a burnout?
Perché anche l’attività professionale non strettamente medica è una relazione di aiuto, in cui il professionista molto spesso mette l’altro in primo piano, con il rischio di essere sopraffatto dalle sue richieste e dalle sue ansie. Se non si è in grado – per qualsiasi motivo – di stabilire un confine, c’è il rischio di assorbire le preoccupazioni dei clienti e farle nostre, ammalandoci noi al posto loro o insieme a loro, senza riuscire ad essere utili.
Questo rischio è stato molto forte durante il lockdown, perché i professionisti hanno lavorato senza tregua, indefessamente. Preoccupandosi per i clienti, spesso senza considerare che c’era anche la preoccupazione per il proprio studio e per i propri dipendenti, la paura di ammalarsi, l’essersi ammalati o l’aver perso dei cari.
Tra i motivi del rischio burnout ci sono anche altri fattori, quali le caratteristiche di personalità, il rapporto con il denaro, le condizioni stabili o precarie del lavoro e tanti altri ancora che possono amplificare il rischio. Ma qualunque sia la causa, è importante affrontare il problema e prevenire l’insorgere di questa sindrome prendendoci cura di noi.
Come prenderci cura di noi? Le possibili soluzioni sono tante: ognuno presenta caratteristiche peculiari che lo portano a scegliere vie diverse. Può esser utile:
Anche sul piano personale esistono tanti possibili strumenti:
L’importante è non scappare dai pensieri stressanti ma percepirli e gestirli, se necessario facendosi aiutare sia sul piano professionale che sul piano personale: rivolgendosi a qualcuno, anche se non siamo abituati perché di solito siamo noi che aiutiamo gli altri.
Farsi aiutare a trovare la forza di volontà per cambiare le nostre priorità. Perché solo così potremo aiutare gli altri, aiutando prima noi.