Imposte dirette

13 Novembre 2023

Rinvio acconto di novembre fra luci e ombre

Buone notizie per molti contribuenti: rinviato a gennaio 2024 il versamento del secondo acconto delle imposte dovute per il 2024. Tuttavia, la norma, piegata a esigenze di gettito, appare discutibile sotto il profilo dell’equità fiscale.

Il D.L. 18.10.2023, n. 145 (decreto Anticipi) consente, per il solo periodo d’imposta 2023, alle persone fisiche titolari di partita Iva, che nel periodo d’imposta precedente hanno dichiarano ricavi o compensi non superiori a 170.000 euro, di effettuare il versamento della seconda rata di acconto, quale risultante dalla dichiarazione dei redditi (esclusi i contributi previdenziali e assistenziali e i premi Inail), entro il 16.01.2024, oppure in 5 rate mensili di pari importo, a decorrere dal mese di gennaio, con scadenza il giorno 16 di ciascun mese, maggiorando di interessi (4%) le rate successive alla prima.

Nell’ambito applicativo del rinvio rientrano, quindi, le persone fisiche che siano imprenditori individuali o lavoratori autonomi. Beneficiano del differimento in commento anche l’imprenditore titolare dell’impresa familiare o dell’azienda coniugale non gestita in forma societaria, nonché i lavoratori autonomi e i titolari di reddito d’impresa tenuti a versare, in unica soluzione, l’acconto delle imposte sui redditi dovuto in base al modello Redditi PF 2023.

Sono invece esclusi:

  • le persone fisiche non titolari di partita Iva (ad esempio, i soci di società di persone o di capitali);
  • le persone fisiche titolari di partita Iva che, con riferimento all’anno d’imposta 2022, hanno dichiarato ricavi o compensi superiori a 170.000 euro;
  • i soggetti diversi dalle persone fisiche (ad esempio, società di capitali ed enti non commerciali).

Con riferimento all’impresa familiare e all’azienda coniugale non gestita in forma societaria, non possono fruire del rinvio i collaboratori familiari e il coniuge del titolare d’impresa (salvo che non siano, a loro volta, titolari di partita Iva).

In ordine alla verifica dell’eventuale superamento della soglia di 170.000 euro, si deve fare riferimento ai compensi, nonché ai ricavi di cui all’art. 57 del Tuir, dichiarati per il periodo d’imposta 2022. Sempre al medesimo fine, deve ritenersi rilevante l’ammontare complessivo dei ricavi dell’impresa familiare e dell’azienda coniugale.

Qualora il contribuente eserciti più attività, contraddistinte da codici ATECO diversi, occorre sommare i ricavi e i compensi relativi alle diverse attività esercitate; inoltre, se la persona fisica esercita contestualmente un’attività di lavoro autonomo e un’attività d’impresa, rileva la somma dei ricavi e dei compensi relativi alle attività esercitate.

Per quanto concerne le persone fisiche che esercitano attività agricole o attività agricole connesse (agriturismo, allevamento, ecc.), le quali fruiscono del differimento solo se, nel 2022, siano anche titolari di reddito d’impresa, in luogo dell’ammontare dei ricavi occorre considerare il volume d’affari (campo VE50 del modello di dichiarazione Iva 2023).

Si precisa, infine, che se il contribuente non è tenuto alla presentazione della dichiarazione Iva, il riferimento è l’ammontare complessivo del fatturato del 2022, mentre, ove il soggetto abbia altre attività commerciali o di lavoro autonomo, si tiene conto del volume d’affari complessivo degli intercalari della dichiarazione Iva. Questi i chiarimenti forniti dalla circolare n. 31/E/2023.

Ebbene, se la norma può essere accolta con estremo favore da una vasta platea di contribuenti (soprattutto dai forfetari), è peraltro evidente che, sotto il profilo dell’equità fiscale, è assai discutibile: si pensi, ad esempio, a un soggetto con ricavi superiori a 170.000 euro, in regola con i versamenti di natura fiscale e previdenziale e che ha tempestivamente pagato i fornitori mentre, al contrario, non ha incassato le fatture emesse, con conseguente carenza di liquidità; allo stesso tempo, si ipotizzi un contribuente forfetario, con costi minimi e i cui clienti hanno regolarmente pagato le fatture.

Nel primo caso si penalizza un soggetto che, invece, avrebbe tratto sicuro giovamento dal differimento; nel secondo, invece, si avvantaggia chi, oltre a pagare imposte in misura ridotta (5% o 15%), potrebbe non avere nessuna necessità di posticipare l’acconto. Tutto ciò è frutto di una valutazione, basata sull’impatto del teorico mancato versamento degli acconti sulle casse erariale, tale da indurre il legislatore a circoscrivere l’area dell’agevolazione a una platea di contribuenti che non incidono significativamente sul gettito.

Dunque, nessuna rivoluzione sistemica, per così dire, considerato, oltretutto che l’applicazione della norma non è a regime, bensì limitata esclusivamente al secondo acconto dovuto per il periodo d’imposta 2023.

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