IVA
18 Ottobre 2024
La rinuncia al credito non è assimilabile ai casi di risoluzione, rescissione, annullamento o scioglimento per mutuo dissenso dell’originario contratto. Lo ha precisato l’Agenzia delle Entrate, con l’interpello 15.10.2024, n. 203.
Nell’ambito dell’art. 26 D.P.R. 26.10.1972, n. 633 l’unico caso nel quale il legislatore, ai fini dell’emissione della nota di variazione, attribuisce rilevanza alla volontà sopravvenuta, rispetto al contratto originario, di entrambe le parti contraenti, è quello previsto dal c. 3 della disposizione, che consente l’emissione della nota di variazione, entro il ristretto termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione originaria, qualora, “in dipendenza di un accordo sopravvenuto”, la stessa operazione venga meno in tutto o in parte o se ne riduca l’ammontare imponibile. Tutto ciò premesso, la rinuncia unilaterale al credito esercitata nei confronti del fallimento non può essere assimilata ad alcuna delle ipotesi elencate all’art. 26, c. 2 D.P.R. 633/1972.
Nel caso di rinuncia unilaterale all’incasso del credito (aspetto meramente finanziario), infatti, l’operazione economica originaria che ha determinato l’esercizio della rivalsa dell’imposta non viene meno in tutto o in parte, né se ne riduce l’ammontare imponibile. In altri termini, l’incasso del credito, cui si intende rinunciare, riguarda il profilo meramente finanziario, non essendosi modificati i rapporti già conclusi, né essendo stata invocata alcuna clausola contrattuale risolutiva.