Diritto privato, commerciale e amministrativo
16 Novembre 2024
Nella maggior parte delle correnti di pensiero, l’attrazione di un essere umano verso un fattore esterno rappresenta il nucleo del vivere sociale, in quanto motore di relazione e di crescita.
Da Platone in poi la filosofia ha determinato il desiderio umano come semplice ricerca di una parte perduta di sé, con la conseguenza più o meno diretta di instaurare un collegamento col passato tale da rendere familiare la ricerca di quanto perduto e, con essa, la stessa tensione affettiva verso il “desiderato”.
Alla stregua di un normale bisogno, quindi, il desiderio risulterebbe provvisto di una sorta di complemento naturale che lo soddisferebbe in modo compiuto e definitivo. Ciò che viene desiderato coinciderebbe, in altre parole, al soggetto desiderante perché derivante da lui stesso e, perciò, confacente e adeguato.
Nel cercare di superare questa sorta di pericoloso “appagamento sociale”tale da produrre situazioni di stallo nello sviluppo dell’intera collettività, il filosofo Martin Heidegger evidenzia un potenziale errore interpretativo nel fatto che il problema più generale dell’essere (di cui il desiderio rappresenta componente) non può essere inquadrato se non in rapporto diretto con il tempo, partendo dall’evidenza che, se così non fosse, l’uomo risulterebbe l’unica componente stabile di un sistema naturale in continua evoluzione, con evidente contraddizione.
Dal punto di vista temporale l’esistenza dell’uomo deve quindi ricevere un inquadramento pluridimensionale, che collochi il presente con una base sul passato e una tensione verso il futuro. La relazione esterna, in quanto confronto e crescita, diviene sistema di controllo di ogni soggetto, che acquisisce coscienza.
Con questa logica, è più facile concepire la vera finalità dell’esistenza come “essere nel mondo”, anziché come “avventura isolata”. Essere nel mondo significa quindi per l’individuo assumere il mondo stesso come orizzonte della propria progettualità, e mettersi di conseguenza in relazione con l’esterno per effettuare i necessari collegamenti tra passato e futuro senza perdere il dominio di sé stesso.
Lo stesso Heidegger, nella sua opera “Essere e tempo”, definisce la progettualità come “trascendenza”. Se il mondo non è una cosa a sé stante ma rappresenta il campo di possibilità dell’agire umano, la forza dell’individuo e della società (serie di individui in relazione) sta proprio nella possibilità di oltrepassare il limite, per dare un senso di crescita alla propria vita, e il desiderio, componente fondamentale, coincide con la volontà di superamento del confine, verso un progetto di sviluppo.
La responsabilità dell’uomo, in tutte le sue manifestazioni (compresa quella imprenditoriale) è insita nel suo ruolo di essere “consapevole”, con un percorso che attraverso la comunicazione si riflette sul mondo esterno.
Il manifestarsi “sociale” anche a livello imprenditoriale aggiunge dunque al significato meramente comunicativo una connotazione fondamentale, il senso di responsabilità di ogni individuo nell’aiutare gli altri ad essere liberi di assumere la propria “cura”, trovando sé stessi, realizzandosi e relazionandosi a loro volta per facilitare la tendenza al miglioramento dell’intero sistema sociale.
Il non manifestarsi, la sola “cura” delle cose da parte dell’uomo ha l’effetto contrario di spegnere la spinta verso lo sviluppo a causa dell’apparente appagamento individuale, basandosi sulla “non comprensione” e facendo propria quell’inconsistenza sociale generata dall’abitudine, dalla convenzione, dalla credenza di non poter in alcun modo cambiare o indirizzare il proprio destino.
La vera esistenza anonima è quella che si fonda sulla solitudine e sull’inconsistenza del solo rapporto con le cose, privo di per sé del requisito della “temporalità” e quindi privo di ogni conoscenza.
Il vivere “consapevole” pone invece l’individuo nella cosciente condizione di rapportare le cose agli uomini ed alla natura, con un dettaglio temporale preciso e, quindi, proiettare il rapporto verso uno sviluppo “progettuale”.
L’affrontare direttamente e coraggiosamente il limite dell’esistenza attraverso il vivere responsabile, figlio della piena contestualizzazione del suo agire, porta l’uomo a superare l’angoscia generata da quella inconsapevolezza che è legata in modo indissolubile alla propria solitudine (il temuto “nulla”).
La sola autenticità dell’agire consapevole è quella che, senza prescindere da essa e dall’innato individualismo, comprende chiaramente (attraverso ragione ed emotività) essere umano, natura e società, cioè l’esistenza, e muove verso di essa alla ricerca di un benessere collettivo.