Antiriciclaggio
12 Aprile 2024
Il rapporto fiduciario tra professionista e il proprio assistito può presentare aspetti patologici nella misura in cui, nella commissione di specifici reati commessi dal cliente, risulti la commistione delle due figure.
La gestione dell’attività aziendale si estrinseca in scelte e decisioni che possono confliggere con l’ordinamento giuridico: alle violazioni conseguono riflessi sanzionatori amministrativi-pecuniari e, nei casi più gravi, anche conseguenze penali. In tale contesto, assume particolare rilievo la deontologia del professionista, tenuto non solo a non collaborare con chi, fraudolentemente, non rispetta le norme, ma anche a segnalare comportamenti illeciti.
Si richiama, anzitutto, l’art. 110 del Codice penale, ai sensi del quale “Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti”. Il chiaro tenore normativo non lascia margine di dubbio: la corresponsabilità fra autore del reato e chi, a titolo diverso, è comunque riconducibile al medesimo non può essere evitata. Ciò premesso, affinché possa configurarsi la colpevole complicità tra professionista e cliente devono essere appurati alcuni aspetti, segnatamente in ambito tributario.
In primo luogo, il cosiddetto “concorso materiale”, che si verifica quando il professionista si presta attivamente alla commissione del reato mediante, esemplificando, la redazione di documentazione o dichiarazioni fiscali fraudolente.