Accertamento, riscossione e contenzioso
02 Marzo 2023
L’omessa svalutazione dei crediti apposti in bilancio costituisce fonte di grave responsabilità per gli amministratori di società di capitali.
La responsabilità degli amministratori per omessa svalutazione dei crediti societari assume rilievo sia sul fronte civile, sia su quello penale.
Per quanto attiene alla responsabilità civile, appare evidente che l’omissione in oggetto è idonea a falsare il bilancio e i risultati iscritti. Può capitare, infatti, che a causa di un’errata indicazione in bilancio di crediti difficilmente recuperabili, la società continui a operare in regime di sottocapitalizzazione. Tale situazione arreca un pregiudizio alla società stessa e ai creditori, i quali ripongono legittimo affidamento nella veridicità dei dati contabili. Nel caso in cui la società venisse assoggettata a liquidazione giudiziale, dunque, gli amministratori potrebbero essere chiamati a rispondere per l’omessa svalutazione, che rileva soprattutto per l’indebita prosecuzione dell’attività in perdita.
Tale responsabilità muove dal presupposto per cui, se gli amministratori avessero correttamente adempiuto agli obblighi loro imposti dalla legge (e avessero dunque effettuato le dovute svalutazioni dei crediti), avrebbero rilevato la reale condizione economico-patrimoniale della società e avrebbero, dunque, potuto evitare il prodursi di perdite successive. Ben potrebbe accadere che, effettuando le dovute svalutazioni, si verifichi la riduzione del capitale di oltre un terzo o la perdita totale del capitale, con il conseguente obbligo dell’amministratore di adottare i provvedimenti di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c.
Si comprende, dunque, come l’omessa svalutazione comporti una serie di responsabilità per ulteriori violazioni (quali, ad esempio, la violazione dell’obbligo di convocare senza indugio l’assemblea) e il relativo danno può essere identificato nella perdita conseguente all’indebita prosecuzione dell’attività in regime di sottocapitalizzazione.
Un brevissimo cenno meritano, infine, i risvolti penali dell’omessa svalutazione dei crediti, atteso che, secondo la Suprema Corte, può rispondere del delitto di bancarotta impropria da falso in bilancio l’amministratore societario che consente la permanenza, nel bilancio della fallita, di un credito in realtà da anni inesigibile, senza operare la dovuta svalutazione, in tal modo consentendo alla società di proseguire l’attività senza prendere atto che il patrimonio netto è divenuto negativo e che sarebbe stato necessario provvedere alla ricapitalizzazione, alla liquidazione o alla richiesta di fallimento. Tale condotta trova la sua corretta qualificazione nell’ipotesi di cui all’art. 223, c. 2, n. 1 L.F. (R.D. 267/1942), nella parte in cui punisce chiunque cagiona, o concorre a cagionare, commettendo i delitti societari indicati, il dissesto della società (quale squilibrio economico che conduce al fallimento), così sanzionando la condotta sia di chi il dissesto lo ha interamente cagionato, sia chi ne ha causato una parte, e dunque lo ha aggravato, giacché il dissesto, nei suoi termini economici, non costituisce un dato di fatto immodificabile e può, pertanto, essere reso ancora più grave (Cassazione, Sez. Penale, sentenza 9.05.2017, n. 29885).