Società e contratti
18 Febbraio 2025
La responsabilità dell’amministratore di diritto e di fatto assume portata diversa a secondo che si tratti di reati tributari, delitti di riciclaggio o autoriciclaggio, nonché di bancarotta fraudolenta.
La giurisprudenza è ormai granitica nel ritenere che l’amministratore di diritto risponda, unitamente a quello di fatto, per i reati tributari per non aver impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire ex art. 40 c.p., essendo sufficiente dal punto di vista soggettivo la generica consapevolezza della commissione di condotte illecite da parte dell’ultimo. L’amministratore di diritto risponde, infatti, del reato tributario punito a titolo di dolo specifico quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino.
Diverso, invece, il caso dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio in relazione ai quali le condotte specifiche costituiscono un quid pluris rispetto all’evasione fiscale e richiedono la prova di un concorso almeno morale dell’amministratore di diritto (prestanome) in presenza di specifici indici di rischio. I reati di riciclaggio e autoriciclaggio sono inseriti nell’art. 25-octies D.Lgs. 231/2001, quali reati presupposto della responsabilità dell’ente. Per questo motivo, l’azienda, una volta individuate le aree e le attività sensibili, deve dotarsi di idonei protocolli di prevenzione del rischio reato. Le linee guida di Confindustria individuano le aree sensibili per il rischio riciclaggio e i contenuti minimi dei protocolli operativi.
La Corte di Cassazione, con le due diverse sentenze nn. 47529/2022 e 43969/2022, si pronuncia in tema di responsabilità dell’amministratore di diritto, che sia un mero prestanome dell’amministratore di fatto, per i reati commessi da quest’ultimo nel corso della gestione dell’impresa.
Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti dell’amministratore unico, indagato per aver partecipato al sodalizio criminale dedito alla commissione di più delitti di riciclaggio e altro, sulla scorta della mancanza di prova relativa alla condivisione della finalità di agevolazione della commissione dei reati. Dunque, la funzione di prestanome appariva insufficiente a dimostrare la consapevolezza di coprire attività illecite atteso che non aveva alcun potere di ingerenza nella gestione della società a lui riferibile solo formalmente.
La Corte di Cassazione, invece, nel rigettare il ricorso del PM, conferma la consolidata giurisprudenza in materia di reati tributari ed economici, che ha sempre ritenuto che l’amministratore di diritto risponde del reato tributario punito a titolo di dolo specifico quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino.