Altre imposte indirette e altri tributi
08 Settembre 2022
Riflessioni su una discutibile interpretazione dell’Agenzia delle Entrate.
Con la risposta all’interpello n. 428/2022, l’Agenzia delle Entrate spiazza un po’ tutti su una questione che potrebbe sembrare banale ma che, in realtà, può avere effetti dirompenti.
Un soggetto in regime forfetario chiede se l’imposta di bollo, addebitata in fattura ai propri clienti, sia soggetta a tassazione. In pratica, il quesito verte sull’interpretazione dell’art. 1, cc. 54-89 L. 190/2014. La norma prevede che i contribuenti persone fisiche, esercenti attività di impresa, arti o professioni, che nell’anno precedente non hanno conseguito ricavi o percepito compensi superiori a 65.000 euro, possono rientrare nel regime agevolato, che, come sappiamo, prevede, fra l’altro, la non applicazione dell’Iva e la determinazione del reddito applicando ai ricavi o compensi percentuali di redditività differenziate in base al codice ATECO, senza possibilità di dedurre analiticamente i costi sostenuti.
La norma fa quindi riferimento al concetto di ricavi (per l’attività di impresa) e di compensi (per l’attività di lavoro autonomo). L’istante ritiene che l’importo del bollo addebitato ai clienti in fattura non possa essere ricompreso nel concetto di “ricavo o compenso”, richiamando a tal proposito le disposizioni in materia di imposta di bollo di cui all’art. 22, c. 2 D.P.R. 642/1972. La predetta norma, secondo l’istante, non prevede un obbligo esclusivo a carico dell’emittente della fattura, essendo stabilita una solidarietà passiva nel pagamento.
L’Agenzia delle Entrate, al contrario, argomenta che la determinazione forfettaria del reddito comporterebbe la totale imponibilità dell’imposta di bollo addebitata in fattura, rientrando pertanto nel concetto di ricavo o compenso e su cui sarà poi applicata la percentuale di redditività del caso. In pratica, il riaddebito del bollo costituirebbe un rimborso che fa parte integrante del ricavo o del compenso. Viene richiamata anche la circolare n. 9/E/2019, nella parte in cui prevede che le spese sostenute nello svolgimento dell’attività, rilevano in base alla percentuale di redditività attribuita in via presuntiva all’attività effettivamente esercitata.
L’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria, in realtà, non convince del tutto. In primo luogo, la definizione di ricavo contenuta nell’art. 85 del Tuir non lascia spazio a interpretazioni estensive, laddove parla di corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa. Nemmeno l’art. 54 in tema di reddito di lavoro autonomo lascia intravedere spiragli per l’interpretazione data dall’Agenzia. Peraltro, i lavoratori autonomi e gli intermediari del commercio in regime forfetario sono tenuti al rilascio della certificazione unica, dove tra le somme imponibili si ritiene che debbano essere indicati soltanto gli onorari (con la sola aggiunta del contributo integrativo Inps del 4%) o le provvigioni, mentre il bollo dovrebbe essere indicato eventualmente tra le somme che non costituiscono reddito (sul punto le istruzioni non sono proprio chiare).
Ma qual è l’effetto dirompente dell’interpretazione in commento? I contribuenti che non avessero tenuto conto dell’imposta di bollo si troverebbero a dover rideterminare i propri ricavi (o compensi) e quindi anche il reddito, correndo peraltro il rischio di uscire dal regime forfetario in caso di superamento del limite di 65.000 euro.