Accertamento, riscossione e contenzioso
14 Ottobre 2022
Per gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate non ci sono dubbi: se recuperato, il credito d’imposta R&S è inesistente. La giurisprudenza e, soprattutto, la logica, sono di segno opposto.
Con interpretazione oggettivamente azzardata e indipendentemente dalla legittimità dell’atto di recupero, il credito d’imposta contestato è qualificato dal Fisco come “inesistente” mentre, a ben vedere, sarebbe, semmai, “non spettante”. Con differenze che non sono solo formali ma, anche e soprattutto, sostanziali.
L’indebita fruizione di un credito inesistente, infatti, comporta una sanzione amministrativa dal 100% al 200%, l’impossibilità di rimediare con gli istituti del ravvedimento operoso e della dichiarazione integrativa, nonché la reclusione da 6 mesi a 6 anni qualora l’importo indebitamente fruito superi € 50.000 nel singolo periodo d’imposta. Infine, i termini di accertamento si prescrivono entro il 31.12 dell’8° anno successivo.
Nell’ipotesi, invece, di contestazione di un credito d’imposta non spettante, l’impianto sanzionatorio è notevolmente mitigato: sanzione amministrativa che scende al 30%, possibile accesso al ravvedimento operoso e alla dichiarazione integrativa, reclusione da 6 mesi a 2 anni se la violazione eccede € 50.000, mentre i termini prescrizionali di accertamento scadono entro la fine del 5° anno successivo.
Così sintetizzate le differenze fra le 2 fattispecie, gli uffici sembrano ignorare (o disattendere) il chiaro principio enunciato dal diritto vivente: è inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costituivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli esperiti dall’Amministrazione Finanziaria (Cassazione, sentenza 7615/2022). In particolare, devono ricorrere contestualmente i seguenti requisiti:
Dunque, l’inesistenza presuppone la contestazione sia del presupposto costitutivo sia dell’intento fraudolento e, nello specifico, la chiara volontà di ostacolare l’attività di controllo del Fisco; oltretutto, il riferimento operato al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione, mediante procedure automatizzate, rappresenta condizione ulteriore rispetto a quella dell’esistenza sostanziale del credito e mira a evitare l’applicazione di sanzioni più gravi quando il credito, pur sostanzialmente inesistente, può essere facilmente intercettato mediante controlli automatizzati, nel presupposto che la condotta del contribuente si connota per scarsa insidiosità.
La stessa prassi dell’Agenzia delle Entrate (circolari 31/E/2020 e 4/E/2021), nell’intento di evitare l’applicazione di sanzioni eccessivamente afflittive, aveva indicato di ridurre al 50% le sanzioni (seppure ritenendo il credito come “inesistente”), onde temperare le conseguenze al rischio sottostante. Indicazione, peraltro, palesemente disattesa dagli uffici periferici in sede di emissione degli atti di recupero. Per quanto precede, il regime sanzionatorio più rigido dovrebbe essere applicato solo nelle ipotesi di violazioni gravi, ovvero in presenza di irregolarità che, sotto il profilo formale e sostanziale, risultino caratterizzate da specifica pericolosità per gli interessi erariali. Nella pratica, invece, gli atti di recupero prescindono da tali valutazioni e qualificano in maniera indiscriminata come “inesistente” l’utilizzo del credito, con il conseguente e più gravoso regime sanzionatorio, con evidente sproporzione rispetto alla violazione.
In conclusione, si ricorda, quale ulteriore supporto alle osservazioni che precedono, quanto segue: la C.T.P. Aosta (sentenza 46/2021, depositata 8.11.2021) ha stabilito che il credito inesistente è solo quello fittizio, ossia artificiosamente creato; la Cassazione (sentenze n. 34443, n. 34444 e n. 34445 del 16.11.2021) ha qualificato come inesistente il credito che difetta, in tutto o in parte, del presupposto costitutivo (non è, quindi, “reale”) e la cui inesistenza non è accertabile mediante i controlli ex artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. 600/1973 e 54-bis D.P.R. 633/1972.
Ampio materiale, pertanto, per imbastire una solida linea difensiva, tenendo altresì conto che la giurisprudenza di merito formatasi sui contenziosi, salvo rarissime e pessimamente motivate sentenze, ha accolto i ricorsi del contribuente, ritenendo illegittimo l’atto di recupero anche per l’errata valutazione dei presupposti costitutivi del credito d’imposta, nonché per la mancata acquisizione del parere tecnico preventivo del Ministero dello Sviluppo Economico.