Antiriciclaggio

10 Luglio 2024

Reato di bancarotta al commercialista che falsifica la perizia

Concorre al reato di bancarotta impropria da reato di fittizio aumento del capitale sociale di Srl il commercialista investito della valutazione del bene, se consapevole dei propositi dell’amministratore della società in dissesto (Cass., sent. 31.05.2024, n. 21854).

Preliminarmente può essere opportuno ricordare che il reato di bancarotta impropria da reato societario (ex art. 223, c. 2, n. 1 R.D. 267/1942) rappresenta un reato proprio (non esclusivo) o a “soggettività ristretta”. Infatti, ai sensi dell’art. 110 c.p., anche l’extraneus (ovvero il dipendente, il collaboratore o il professionista esterno) può concorrere al reato in esame, nel caso in cui fornisca un consapevole contributo morale (ad es. istigazione, determinazione o rafforzamento dell’altrui proposito criminoso) ovvero materiale (come la predisposizione del bilancio falso) alla realizzazione dell’illecito. Il reato di bancarotta impropria da reato societario rappresenta altresì un reato di evento (costituito dal dissesto o l’aggravamento del dissesto). Il dolo richiesto presuppone una volontà protesa al dissesto, ovvero la consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico.

Nel caso in esame, in sede di giudizio civile, veniva contestata (e, successivamente, accertata nei primi due gradi di giudizio) la responsabilità penale di un dottore commercialista per avere concorso al delitto di bancarotta impropria da reato societario, in particolare da falso in bilancio e aumento fittizio di capitale sociale (ex art. 223, c. 2, n. 1 L.F.). La contestazione era stata originata dalla valutazione di un marchio (oggetto di conferimento per aumento di capitale sociale) per oltre 8 milioni di euro (a fronte di un acquisto delle stesso per soli 10.000 euro avvenuto pochi giorni prima). Nel terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione ha preliminarmente ricordato che il reato di formazione fittizia del capitale sociale (ex art. 2632 c.c.) rappresenta un reato proprio (degli amministratori e soci) rispetto al quale è consentito il concorso dell’extraneus.

La ratio sottostante è la necessità di tutelare il valore reale del capitale, così da consentire ai terzi e ai creditori di avere contezza dell’effettiva garanzia offerta dalla società, sulla quale incide la sopravvalutazione “rilevante” dei conferimenti di beni in natura o di crediti; infatti, “gonfiare” artificiosamente le stime dei beni o dei crediti determina il c.d. annacquamento del capitale sociale (che risulta solo “illusoriamente incrementato”) a danno di coloro che stringono rapporti con la società. Per la sussistenza del reato è richiesto il dolo generico, ovvero la volontà di formare ovvero aumentare fittiziamente il capitale sociale attraverso l’esecuzione di una delle condotte tipiche previste dall’art. 2632 c.c., anche nella forma del dolo eventuale.

Fatte tali premesse, nel caso oggetto di contenzioso, la consapevolezza del commercialista incaricato della falsità prodotta dal proprio operato è stata considerata evidente sulla base di una pluralità di elementi. In particolare, tra gli altri, è stato osservato che:

  • nell’eseguire l’incarico, il commercialista aveva rinunciato ad acquisire gli ulteriori elementi che gli avrebbero consentito di dimensionare la stima in modo più realistico (questo comportamento, quindi, smentiva la sua presunta buona fede);
  • la perizia recava l’indicazione della fattura di acquisto del marchio; pertanto, la sproporzione esorbitante tra il valore di acquisto del marchio e quello successivamente stimato costituiva un elemento conosciuto dal commercialista, ed era indicativo della sua volontà di falsare la stima.

Ulteriormente, l’utilizzo della falsa perizia di stima è stato considerato un contributo causale decisivo, perché in questo modo è stato possibile evitare interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, e l’attività della società è proseguita con l’accumulo di ulteriori perdite e l’aggravamento del dissesto (tra le altre: Cass. Sez. 5, 18.06.2014, n. 42811, Cass. Sez. 5 20.9.2021, n. 1754).

Per tutto quanto sopra, è stato quindi concluso che l’operazione di aumento di capitale fittizio effettuato attraverso la perizia doveva servire a prolungare la vita della società e a spostare in avanti il prevedibile fallimento (infatti, la società cedente, essendo già in liquidazione, se avesse potuto contare sul valore del marchio di oltre 8 milioni di euro avrebbe potuto utilizzare questo valore per sanare la propria situazione ed evitare il fallimento). Da qui la conferma della sentenza di secondo grado e il conseguente rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

C.F e P.IVA: 01392340202 · Reg.Imp. di Mantova: n. 01392340202 · Capitale sociale € 210.400 i.v. · Codice destinatario: M5UXCR1

© 2024 Tutti i diritti riservati · Centro Studi Castelli Srl · Privacy · Cookie · Credits