Agricoltura ed economia verde
15 Dicembre 2020
La risposta all'interpello n. 551/2020, sul tema dell'imposta di registro da corrispondere in caso di decadenza dalla piccola proprietà contadina, apre a una serie di interessanti valutazioni tra le quali, in alcuni casi, quella della possibilità di rimborso.
A seguito della pronuncia dell’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 551/2020, con la quale viene sdoganata da parte dell’Amministrazione Finanziaria la possibilità di applicare ai coltivatori diretti ed agli imprenditori agricoli professionali l’imposta di registro del 9% in caso di decadenza dai benefici della piccola proprietà contadina, in luogo di quella del 15%, gli operatori del settore stanno valutando le reali conseguenze di questa apertura. Sulle motivazioni che hanno portato all’emanazione di tale documento di prassi già si è detto da più parti, in questa sede si vuole invece analizzare la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta di registro eventualmente versata in eccedenza in caso di spontanea regolarizzazione mediante autodenuncia.
In materia di rimborso dell’imposta di registro, l’art. 77, c. 1 D.P.R. 131/1986 prevede che: “il rimborso dell’imposta, della soprattassa, della pena pecuniaria e degli interessi di mora deve essere richiesto, a pena di decadenza, dal contribuente o dal soggetto nei cui confronti la sanzione è stata applicata entro tre anni dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione”. Tale disposizione presuppone pertanto che il versamento, in eccesso, dell’imposta di registro dovuta a seguito di decadenza dai requisiti necessari per usufruire della Ppc (decadenza che può essere causata dall’alienazione del fondo entro il quinquennio piuttosto che dalla cessazione della conduzione diretta dello stesso nel medesimo lasso di tempo o da altre cause) possa essere richiesto a rimborso entro 3 anni dalla data del pagamento. Il versamento in eccesso, nel caso in esame, sarebbe proprio rappresentato dalla differenza tra il 15% di imposta versata in sede di autodenuncia in luogo del 9%, tutt’ora sdoganata dalla riposta all’interpello in commento. La situazione può essere quella del contribuente, coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale, che nell’ultimo triennio si sia trovato nella condizione di doversi autodenunciare e quindi di beneficiare del versamento dell’imposta senza sanzioni. Per non essere gravati da sanzioni è necessario rispettare le prescrizioni di cui all’art. 19 D.P.R. 131/1986, vale a dire: “l’avveramento della condizione sospensiva apposta ad un atto, l’esecuzione di tale atto prima dell’avveramento della condizione e il verificarsi di eventi che, a norma del presente testo unico, diano luogo ad ulteriore liquidazione di imposta devono essere denunciati entro 20 giorni, a cura delle parti contraenti o dei loro aventi causa e di coloro nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, all’Ufficio che ha registrato l’atto al quale si riferiscono”. Tecnicamente l’avveramento della condizione sospensiva, che nel caso in esame fa perdere i benefici della Ppc, è comunicato all’Agenzia delle Entrate mediante il “Modulario Entrate 002”. Proprio in questa situazione quindi, se non è spirato il triennio dal momento del pagamento, il contribuente si trova nelle condizioni di richiedere il rimborso, mediante istanza, che può essere presentata, in carta semplice, presso un qualsiasi Ufficio territoriale, che avrà cura di inoltrarlo eventualmente all’Ufficio competente presso il quale è stato registrato il corrispondente atto, Ufficio che dovrà esaminare l’istanza e se accolta erogare il rimborso.
Deve essere ben chiaro il fatto che la richiesta di rimborso di cui sopra deve essere avvenuta per autodenuncia e non a seguito di pagamento di avviso di liquidazione notificato dall’Agenzia delle Entrate; in questo caso (Cassazione, sentenza 14.03.2012, n. 4025), infatti, la pretesa diventa definitiva ed è impedita ogni richiesta di rimborso. In caso di notifica di avviso di liquidazione è necessaria l’impugnazione dell’atto in quanto anche la mancata tempestiva impugnazione rende l’atto definitivo.