Amministrazione e bilancio
15 Dicembre 2022
La L. 27.05.2015, n. 69 ha introdotto significative modifiche a quanto previsto agli artt. 2621 e 2622 c.c., che configurano la responsabilità penale dei soggetti che adottano una condotta illecita nella redazione dei bilanci.
I soggetti attivi sono: amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, responsabili di fatto.
La condotta illecita riguarda la consapevole esposizione di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, oppure l’omissione di fatti la cui citazione è prevista dalla legge. Inoltre, la condotta deve essere idonea a condurre altri in errore; configurandosi come fattispecie di pericolo, non è necessaria la verificazione del danno.
Sono considerati “fatti materiali” tutti i dati oggettivi e tutte le valutazioni che attengono alla realtà economica, patrimoniale e finanziaria della società. In particolare, le valutazioni costituiscono fatto materiale penalmente rilevante quando non vengono effettuate secondo i criteri previsti dalla normativa civilistica o secondo i principi contabili ai quali la società deve attenersi.
La fattispecie delle società non quotate è regolata dall’art. 2621 c.c. I soggetti elencati in detto articolo che omettono fatti materiali rilevanti o espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, al fine di conseguire per sé o per altri ingiusto profitto, in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore, sono puniti con la reclusione da 1 a 5 anni. La pena si applica anche nel caso in cui le falsità o le omissioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. Viene fatta eccezione, secondo l’art. 2621-bis c.c., per i fatti di lieve entità, per i quali è prevista una riduzione della pena da 6 mesi a 3 anni.
La fattispecie delle società quotate è disciplinata dall’art. 2622 c.c. in maniera simile a quelle non quotate. L’unica differenza sta nel fatto che i fatti materiali non rispondenti al vero non devono possedere il requisito della rilevanza e la pena prevista varia da 3 a 8 anni di reclusione, data la più ampia categoria di interessi coinvolti, tra i quali quelli dei risparmiatori.
Gli amministratori sono responsabili civilmente del proprio comportamento doloso o colposo verso la società quando non adempiono con la diligenza richiesta a tutti i propri doveri e cagionano danno alla società. La società può agire contro gli amministratori attraverso l’azione sociale di responsabilità regolata dagli artt. 2393 c.c. e 2476 c.c.: essa può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione della carica e avviene tramite delibera assembleare anche se la società si trova in stato di liquidazione, attraverso le maggioranze normalmente previste; oppure tramite delibera del collegio sindacale assunta con una maggioranza dei 2/3. Se l’azione viene approvata da almeno 1/5 del capitale sociale, gli amministratori vengono automaticamente revocati e sostituiti. L’amministratore non è responsabile quando ha annotato il proprio dissenso all’approvazione della decisione nel libro delle decisioni. Secondo l’art. 2394 c.c. gli amministratori rispondono ai creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Tale responsabilità sorge quando il patrimonio non è sufficiente a soddisfare i creditori e solo se esiste un rapporto di causalità tra la diminuzione del patrimonio e la condotta degli amministratori.
Secondo l’art. 2395 c.c., il singolo socio o il terzo che hanno subìto un danno diretto al proprio patrimonio a causa del comportamento doloso o colposo dell’amministratore, possono agire in giudizio e adottare l’azione individuale di responsabilità per ottenere il risarcimento del danno. Chi agisce deve provare l’esistenza del nesso causale diretto tra il danno e l’illecito degli amministratori. Il termine di prescrizione è di 5 anni a partire dal giorno in cui il danno è divenuto conoscibile.