Accertamento, riscossione e contenzioso
30 Agosto 2024
In materia di reati tributari, il giudice penale può con adeguata motivazione apprezzare tutti gli elementi, anche induttivi, per trarne elementi probatori ritenuti idonei a sorreggere il proprio convincimento obiettivo.
La Corte di Cassazione Pen., Sez. III, con la sentenza 19.08.2024 n. 32683 ha ribadito il principio secondo cui in materia di reati tributari, il giudice penale, anche se non è vincolato dalle valutazioni compiute in sede di accertamento tributario, può, tuttavia, con adeguata motivazione apprezzare tutti gli elementi, ed anche se del caso induttivi per trarne elementi probatori, che ritenga idonei a sorreggere il suo convincimento obiettivo (in senso conforme anche Sez. 3, sentenza 14.03.2023 n. 24225).
Il giudice penale deve però dare conto della bontà dei criteri seguiti per individuare i costi sopportati dall’imputato, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte secondo la quale in tema di reati tributari, il giudice, per determinare l’ammontare della imposta evasa, è tenuto ad operare una verifica che, pur non potendo prescindere dai criteri di accertamento dell’imponibile stabiliti dalla legislazione fiscale, sconta le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale e dalle regole che lo governano, sicché, nel caso in cui i ricavi non indicati nelle dichiarazioni fiscali obbligatorie siano individuati sulla base non di presunzioni, ma di precisi elementi documentali, quali le entrate registrate in contabilità o nei conti correnti bancari, i correlativi costi possono essere riconosciuti solo in presenza di riscontri da cui desumere la certezza o il ragionevole dubbio della loro esistenza.