Imposte dirette

05 Dicembre 2024

Principio dell’inerenza alla luce di prassi e giurisprudenza

Nonostante frequenti manipolazioni nelle istruttorie di verifica, il modello concettuale non può essere ristretto o dilatato secondo mere convenienze fiscali.

L’Amministrazione Finanziaria, con le risoluzioni 16.05.2008, n. 196/E, 28.10.1998, n. 158/E, 12.11.1974 n. 2/1053 e la circolare 7.07.1983, n. 30, ha rappresentato come “Il requisito dell’inerenza vada valutato con riguardo all’attività d’impresa nel suo complesso. Sono, quindi, deducibili, in quanto inerenti, i costi che si riferiscono ad attività che concorrono a formare il reddito, compresi gli oneri sostenuti in proiezione futura se relativi ad attività da cui possono derivare compensi in tempi successivi” e, ancora, “L’inerenza va, inoltre riconosciuta anche allorquando il costo si pone in una scelta di convenienza imprenditoriale, ossia quando il fine perseguito è pur sempre quello di pervenire al maggior risultato economico come nel caso di rinuncia volontaria a crediti nei confronti dei clienti” (R.M. 6.09.1980, n. 9/517).

Per la Cassazione testualmente: “Al riguardo appare di particolare importanza il riconoscimento della rilevanza delle componenti negative derivanti dalle scelte di convenienza “strategica” effettuate dall’impresa” (Cass. 18.10.2018, n. 26202).

Per la dottrina, le convenienze commerciali o i diritti astrattamente azionabili da un contratto stipulato dal contribuente non costituiscono una capacità economica effettiva, per cui i maggiori ricavi o i minori costi che eventualmente l’impresa avrebbe potuto conseguire o sostenere, ma che in concreto non ha conseguito e/o sostenuto in detta misura, non possono formare oggetto di recupero, in quanto, diversamente, si verrebbero a sostituire con regole empiriche le basi giuridiche e costituzionali su cui poggia la base imponibile fiscalmente rilevante. 

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