Amministrazione del personale
26 Ottobre 2024
La Suprema Corte stabilisce criteri precisi sul calcolo dei giorni di assenza per malattia nel lavoro a tempo parziale verticale, con una sentenza che modifica sostanzialmente il metodo di conteggio del periodo massimo consentito.
Con la sentenza 14.10.2024, n. 26634 la Cassazione è intervenuta su un caso riguardante il licenziamento di una lavoratrice in regime di part-time verticale. Il motivo principale del licenziamento era il superamento del periodo di comporto, ovvero il numero massimo di giorni di assenza per malattia consentiti dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL). Questo limite viene calcolato in proporzione al tempo di lavoro concordato tra le parti. Il caso in questione riguarda una lavoratrice che, impiegata con un contratto di lavoro part-time verticale al 50% (3 giorni a settimana), ha accumulato 113 giorni di assenza per malattia in pochi mesi. Il datore di lavoro ha deciso di licenziarla, poiché tali assenze superavano il periodo di comporto stabilito dal CCNL di riferimento.
Posizione della Corte: proporzionalità del periodo di comporto – Nel part-time verticale, i giorni di assenza per malattia devono essere proporzionati al numero di giorni lavorativi. La Corte ha stabilito che il periodo di comporto per la lavoratrice, che lavorava 3 giorni a settimana, doveva essere determinato in base alla metà delle giornate lavorative previste in un anno solare. Questo principio è previsto dal contratto collettivo e confermato dalla giurisprudenza.
In pratica, per una lavoratrice con un contratto che prevede 3 giorni lavorativi alla settimana, il numero massimo di giorni di assenza per malattia viene ridotto in modo proporzionale rispetto a un lavoratore a tempo pieno. Nel caso analizzato, il periodo massimo consentito era di 78,5 giorni, calcolati sulla base del rapporto tra giorni di lavoro e giorni di assenza.
Blocco dei licenziamenti e sua applicabilità – La lavoratrice aveva presentato ricorso sostenendo che il licenziamento era illegittimo, poiché rientrava nel blocco dei licenziamenti introdotto con il D.L. 18/2020, emanato per far fronte all’emergenza sanitaria causata dal Covid-19. Tuttavia, la Corte ha rigettato questa tesi, chiarendo che il blocco dei licenziamenti non si applica ai casi di superamento del periodo di comporto. Secondo i giudici, il licenziamento per superamento del comporto è un motivo autonomo e giustificato, non assimilabile ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, coperti dalle misure di blocco previste dalla normativa emergenziale. Di conseguenza, il ricorso della lavoratrice è stato respinto.
Importanza del rispetto delle regole contrattuali – Questa decisione della Cassazione sottolinea come il rispetto delle regole contrattuali sia essenziale per determinare la legittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto. Le norme stabilite dal contratto collettivo devono essere applicate con precisione, in modo tale che il calcolo delle assenze per malattia rispetti il principio di proporzionalità. La sentenza rappresenta un importante chiarimento sull’applicazione delle norme nei rapporti di lavoro part-time, evidenziando come, anche in situazioni emergenziali, come quella legata alla pandemia, le norme contrattuali non possano essere trascurate.