Paghe e contributi

07 Giugno 2024

Patto di non concorrenza: aspetti fiscali e contributivi

A seconda del momento della stipula del patto e del momento di erogazione della relativa indennità, le condizioni di tassazione variano, mentre rimangono immutate quelle relative alla contribuzione.

Il patto di non concorrenza è il patto che regola, limitandolo, lo svolgimento dell’attività del lavoratore subordinato nel periodo successivo alla cessazione del contratto di lavoro. Si tratta di un accordo volontario, a prestazioni corrispettive e a titolo oneroso, che può essere concluso all’atto dell’assunzione, nel corso del rapporto, al momento della cessazione, a rapporto terminato.

In base alle disposizioni dell’art. 2125 c.c., “Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura indicata dal comma precedente”.

Quali sono i trattamenti previdenziale e fiscale da applicare a questo istituto:

  • ipotesi 1 – Se il corrispettivo concordato nel patto di non concorrenza è erogato in costanza del rapporto di lavoro e con periodicità, lo stesso rappresenta retribuzione a tutti gli effetti e quindi rientra nella base imponibile previdenziale e fiscale con assoggettamento a tassazione ordinaria;
  • ipotesi 2 – Se l’erogazione avviene in occasione della cessazione del rapporto, l’ammontare percepito dall’ex lavoratore, fermo restando il suo assoggettamento a contribuzione obbligatoria, fiscalmente è soggetto a tassazione separata con applicazione dell’aliquota applicata al TFR, al pari delle altre indennità e somme percepite una tantum in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro. A tal proposito si registra una prevalenza di opinioni secondo le quali il corrispettivo del patto debba essere assoggettato a contribuzione previdenziale, in quanto trova le proprie radici nel rapporto di lavoro. Tale assunto è corroborato dalla giurisprudenza ora prevalente, che ha escluso la natura risarcitoria del patto, riconducendone la fonte nel rapporto di lavoro intercorso; si vedano Cass. nn. 9790/2020, 16489/2009 e 7835/2006;
  • ipotesi 3 – L’erogazione del patto di non concorrenza può essere sottoscritto in un momento successivo rispetto al rapporto di lavoro e alla cessazione dello stesso, così come stabilito dallo stesso Codice Civile, che non pone vincoli temporali alla stipula dell’accordo fra le parti e confermato poi dalla Cass. SS.UU. 630/1965. In tale evenienza l’erogazione integra una prestazione corrispettiva a un “obbligo di non fare”. Pur poggiando sul rapporto di lavoro, la prestazione si considera, ai fini dell’imposizione, avulsa dal medesimo e ciò comporta l’applicazione dell’imposizione fiscale prevista dall’art. 67, c. 1 Tuir.

La somma erogata, pertanto, sarà soggetta a una ritenuta a titolo di acconto pari al 20% dell’importo erogato e comunque imponibile ai fini contributivi; inoltre, l’importo erogato dovrà essere successivamente evidenziato nella Certificazione Unica elaborata dal datore di lavoro e consegnata al lavoratore.

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