Diritto del lavoro e legislazione sociale
10 Maggio 2024
La Cassazione ribadisce la nullità dei patti di non concorrenza quando le scelte del datore di lavoro ne influenzano l’applicazione e il compenso.
I patti di non concorrenza nel diritto del lavoro rappresentano da sempre un terreno di confronto tra le esigenze dei datori di lavoro di tutelare i propri interessi commerciali e i diritti dei lavoratori di non subire restrizioni eccessive post-impiego. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, interviene nuovamente su questo delicato equilibrio.
L’ordinanza in esame – Il caso in esame riguarda la questione della nullità di un patto di non concorrenza sottoscritto tra un dipendente e la sua ex datrice di lavoro, una società di private banking. Il patto prevedeva che il lavoratore, una volta cessato il rapporto di lavoro, non svolgesse attività concorrenziale per 20 mesi, con un corrispettivo annuale di 5.000 euro, pagabile in 2 rate semestrali posticipate.
Le Corti inferiori, il Tribunale e la Corte d’Appello avevano dichiarato il patto nullo a causa dell’indeterminatezza del compenso e dell’ambito territoriale. Inoltre, una clausola permetteva al datore di modificare unilateralmente le condizioni di impiego, violando l’art. 2125 c.c. che prescrive chiarezza e specificità nei patti di non concorrenza.