IVA
30 Luglio 2024
La Cassazione (sent. 23.07.2024, n. 20411) precisa la portata disciplinare dell’art. 21, c. 7 D.P.R. 633/1972, ritenendo che, in caso di operazioni inesistenti, il principio della cartolarità dell’Iva sia da considerare sovraordinato rispetto all’effettività delle operazioni.
A fronte della censura costituzionale mossa dal contribuente in ordine all’art. 21, c. 7 D.P.R. 633/1972, non avendo la C.T.R. tenuto conto dell’Iva riscossa nel frattempo dall’Erario dai soggetti che hanno emesso le fatture a fronte di operazioni inesistenti, con manifesta indebita duplicazione dell’imposta pretesa nei confronti del ricorrente, il giudice di Cassazione ha testualmente rappresentato: “In virtù dell’art. 21, c. 7, D.P.R. 633/1972 (per il quale: “Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”) con prescrizione ricalcante quella dell’art. 21, n. 1, lettera c) della sesta direttiva, secondo cui l’IVA è dovuta da “chiunque indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in un altro documento che ne fa le veci” (disposizione ora ribadita dall’art. 203 della direttiva n. 2006/112/CE del 28.11.2006) si è inteso eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale, che può derivare dall’esercizio del diritto di detrazione, rischio che, secondo la Corte di giustizia, sussiste “fino a quando il destinatario di una fattura che espone un’Iva non dovuta possa utilizzarla al fine del relativo esercizio” (Corte di Giustizia, sentenza 19.09.2000, in C-454/08).
In ordine al controverso tema va precisato come per i giudici dell’Unione il meccanismo della detrazione si raccorda con la prerogativa della neutralità dell’Iva nei soli limiti in cui vi è la connessione causale con effettive prestazioni di servizi o cessioni di beni soggette all’iva. L’emittente della fattura è in ogni caso debitore dell’Iva indicata in fattura anche in mancanza di un’operazione imponibile, a norma dell’art. 203 della direttiva 2006/112/CE (Corte di Giustizia, 3.03.2014, in causa C-107/13) e nell’Iva nazionale proprio in virtù dell’ art. 21, c. 7 D.P.R. 633/1972.
Ancora e sempre secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia della UE, gli Stati membri possono concedere la rettifica delle imposte indebitamente fatturate, ma unicamente nel caso in cui chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede (Corte di Giustizia, 13.12.1989, in causa C-342/87) o, comunque, anche in assenza di buona fede, abbia provveduto ad eliminare tempestivamente in tempo utile il rischio di perdita di gettito fiscale (Corte di Giustizia, 8.05.2019, in causa C-712/17); Corte di Giustizia, 2.07.2020, in causa C-835/2018). In ogni caso, gli Stati membri possono ritenere che l’emissione di fatture fittizie con l’indicazione della relativa Iva integri un tentativo di frode fiscale ed applicare corrispondenti sanzioni (Corte di Giustizia, 19.09.2000, causa C-454/98).
Il dibattuto tema del rapporto tra principio di cartolarità e principio di neutralità dell’Iva è stato vagliato anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto che la fattispecie individuata dall’art. 21 c. 7 D.P.R. 633/1972 è, dunque, del tutto speciale ed esula dalla applicazione del regime ordinario dell’Iva, in quanto il legislatore, in caso di “operazione inesistente”, ha, infatti, inteso privilegiare la rappresentazione cartolare del rapporto rispetto alla effettiva irrealtà della operazione sottostante, assoggettando comunque ad imposizione detto rapporto. Si tratta, quindi, di una previsione normativa che opera specificamente dal lato del debito d’imposta gravante sull’emittente, quale soggetto passivo nei confronti dell’Erario, mentre dal lato del cessionario/destinatario della prestazione di servizi, in difetto di alcuna disciplina normativa speciale, rimane confermato il meccanismo ordinario dell’Iva, per cui, in mancanza della manifestazione del presupposto impositivo (attesa l’inesistenza di una reale cessione di beni/prestazioni di servizi in cambio di corrispettivo), alcun diritto alla detrazione/rimborso può sorgere dall’utilizzo di una fattura passiva che è stata emessa per una operazione che in realtà non esiste.
Sul punto si interseca anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui in tema di Iva, una volta che l’Amministrazione Finanziaria abbia dimostrato, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’Iva e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 18.10.2021, n. 28628)
Alla luce di tali principi la Corte di Cassazione ha ritenuto che non sussistano nemmeno le condizioni per la rimessione della questione di costituzionalità al Giudice delle leggi, dovendosi escludere la lesione dei plurimi parametri costituzionali evocati (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione), proprio in virtù del sovraordinato principio della cartolarità che presiede la fattispecie delle operazioni inesistenti in congiunzione con la normativa e la giurisprudenza unionale.