Diritto del lavoro e legislazione sociale

31 Maggio 2024

No pause giornaliere: al lavoratore l’onere della prova

Con ordinanza n. 8626/2024, la Corte di Cassazione stabilisce che al lavoratore spetta la prova della mancata fruizione delle pause lavorative, mentre il datore ha l’obbligo di provare il godimento del riposo compensativo nell’arco del mese.

Con tale ordinanza la Corte di Cassazione ha ribadito due concetti fondamentali in ambito di pause giornaliere garantite al lavoratore per il recupero delle energie psicofisiche ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. 66/2003: da un lato spetta al lavoratore l’onere di provare il mancato godimento delle pause, dall’altro sul datore di lavoro incombe l’onere di provare di aver riconosciuto al lavoratore i corrispondenti riposi compensativi per pause non godute.

Il caso affrontato

I dipendenti di un’azienda cui veniva applicato il C.C.N.L. per i dipendenti degli Istituti di Vigilanza privata si rivolgevano al Tribunale del lavoro e successivamente alla Corte d’Appello di Napoli per chiedere la condanna del datore al pagamento delle somme a titolo retributivo per il mancato godimento delle pause giornaliere della durata di 10 minuti previste dall’art. 74 del C.C.N.L. di categoria per i lavoratori che svolgano attività per almeno 6 ore al giorno.

La sentenza della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Napoli, valutato il caso, rigettava il ricorso dei lavoratori avverso la sentenza di primo grado ribadendo la natura compensativa e non retributiva del relativo emolumento e dal momento che i lavoratori non avevano allegato la prova della mancata fruizione del riposo compensativo contrattualmente previsto.

Avverso tale decisione un lavoratore presentava ricorso per Cassazione sollevando due principali questioni:

  • la Corte d’Appello non aveva considerato che il rapporto di lavoro era cessato prima dell’introduzione del giudizio, ragion per cui per i riposi non goduti doveva essere considerata la natura retributiva poiché lo stesso avrebbe svolto attività lavorativa in orario da dedicare al riposo e quindi resa in violazione di norme a tutela del lavoratore (motivo giudicato inammissibile dalla Corte di Cassazione);
  • il lavoratore deduceva violazione e falsa applicazione di alcune disposizioni di Legge in riferimento all’art. 74 del C.C.N.L. per i dipendenti degli Istituti di Vigilanza Privata poiché la Corte d’Appello aveva erroneamente invertito l’onere della prova del mancato godimento della pausa retribuita della durata di 10 minuti, ponendolo a carico del lavoratore, anziché del datore di lavoro, che invece aveva affermato l’adempimento della propria obbligazione di “riposo compensativo”, in favore del primo (motivo giudicato fondato).

La decisione della Corte di Cassazione

Preliminarmente la Corte affermava che il lavoratore che presti la propria attività lavorativa per più di 6 ore consecutive al giorno ha diritto ad una pausa retribuita di durata pari a 10 minuti. In alternativa può fruire di riposi compensativi di pari durata nei 30 giorni successivi al fine di recuperare le energie psicofisiche.

Gli Ermellini confermavano che spetta quindi al lavoratore dimostrare, in caso di controversia, di non aver goduto del riposo giornaliero di 10 minuti previsto dalla Legge e dai contratti collettivi.

Gli stessi aggiungevano che nel caso in cui la peculiarità dell’attività svolta non consenta la fruizione delle pause giornaliere, il datore di lavoro può, anche unilateralmente, prevedere modalità di recupero diverse purché non penalizzino il lavoratore e consentano a quest’ultimo in concreto il recupero psicofisico; laddove il datore non operi neanche in tal senso, è diritto del lavoratore procedere giudizialmente al fine di richiedere il ristoro per il mancato godimento delle pause.

In caso di controversia, affermano i giudici di Cassazione, al datore di lavoro spetta quindi l’onere probatorio che le modalità alternative, così come il godimento dei riposi compensativi relativi al mancato godimento delle pause giornaliere, siano stati effettivamente goduti dai lavoratori.

Sulla base di tali considerazioni cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli.

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