Diritto privato, commerciale e amministrativo
25 Novembre 2022
Finalmente riconosciuta l’assistenza prestata da questi professionisti al lavoratore.
In materia di conciliazioni di lavoro, nel nostro ordinamento vige una presunzione: quando il lavoratore “scende a patti” col datore di lavoro, in realtà lo fa in uno stato di soggezione psicologica. Per questo motivo, l’art. 2113 c.c. dà la possibilità al lavoratore, entro 6 mesi e con qualunque atto scritto, di impugnare quegli accordi e renderli invalidi, salvo che i medesimi non siano stati raggiunti in una delle “sedi protette”, ossia quelle sedi (Ispettorati del Lavoro, sindacati, Tribunali del lavoro, commissioni di certificazione, enti bilaterali, ecc.), in cui il lavoratore è in grado di manifestare liberamente la sua volontà negoziale e di conseguenza, sottoscrivere accordi validi e inoppugnabili.
Da un punto di vista numerico, la conciliazione più rilevante è probabilmente quella sottoscritta in sede sindacale che ha come requisito fondamentale, oltre alla maggiore rappresentatività dell’associazione di appartenenza, l’effettiva assistenza del lavoratore, vale a dire quella essenziale funzione di supporto che costituisce uno dei principi fondanti e ispiratori dell’intero movimento sindacale.
Storicamente questo ruolo di assistenza, ancorché spesso di contenuto tecnico più elevato, non è mai stato riconosciuto ai liberi professionisti (come, ad esempio, gli avvocati) e la ragione va rinvenuta nel fatto che la loro opera è legata all’esercizio di un’attività professionale o, per meglio dire, al pagamento di un onorario. In virtù di ciò, lo studio del professionista è sempre stato considerato una sede privata e mai protetta.
La musica è finalmente cambiata il 17.10.2022 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.Lgs. 149/2022 che, in relazione alle controversie di lavoro ex art. 409 c.c., dà alle parti la possibilità di farsi assistere da un consulente del lavoro o da un avvocato senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda in giudizio.
Ciò significa che, ferma restando la facoltatività del procedimento, il nuovo istituto della negoziazione assistita conferisce agli accordi, stipulati con questa modalità, il crisma dell’inoppugnabilità ai sensi dell’art. 2113, c. 4 c.c., così come avviene per le conciliazioni raggiunte nelle altre sedi protette. È sufficiente che la procedura avvenga alla presenza di un avvocato o di un consulente del lavoro per parte.
L’espressa indicazione di queste 2 categorie sembra totalmente escludere gli altri professionisti come, ad esempio, i commercialisti che pure potrebbero rivendicare delle competenze in materia. Ma questo non è l’unico motivo di perplessità.
Un altro è il previsto obbligo di trasmettere entro 10 giorni l’accordo a una delle commissioni di certificazione previste dall’art. 76 D.Lgs. 276/2003 e onestamente sfugge il motivo di questo ulteriore incombenza. La spiegazione più plausibile è quella di depositare l’accordo presso la cancelleria del Tribunale per l’esecutività ma, a quel punto, non si capisce perché non vi possano direttamente provvedere gli stessi avvocati che hanno contribuito alla sua redazione.
Un altro ancora è quello dell’assegnazione di tale compito alle commissioni di certificazione, vale a dire degli organismi di non agevole individuazione, essendo sulla carta istituiti presso gli Ispettorati del lavoro, gli Ordini provinciali dei consulenti del lavoro, gli Enti bilaterali, le Università pubbliche e private, le Fondazioni universitarie. Peraltro, alcune di queste Commissioni offrono i loro servizi a costi non indifferenti.
Sarebbero, dunque, opportuni maggiori chiarimenti da parte del Legislatore.