Diritto privato, commerciale e amministrativo
07 Ottobre 2024
La mancanza di firma digitale comporta di regola l’improcedibilità del giudizio; tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso qualora sia comunque desumibile la paternità dell’atto o sia provata l’apposizione della firma, ma risulti regolare, valida o verificabile.
In due sentenze la Suprema Corte si è occupata sia in ambito civile (Cass. S.U. 12.03.2024, n. 6477) che in ambito penale (Cass. Pen. 16.09.2024, n. 34784) della validità di un atto mancante di firma digitale.
Nel primo caso l’atto non risultava sottoscritto e si disquisiva se fosse da ritenersi inesistente, ovvero nullo, e in quanto tale, comunque, suscettibile di sanatoria in caso di raggiungimento dello scopo.
Le Sezioni Unite pur riconoscendo l’indispensabilità della sottoscrizione per la formazione dell’atto stesso, e l’inesistenza dell’atto ai sensi dell’art. 161 c.p.c., hanno ritenuto che fosse comunque valido l’atto qualora si potesse desumere la paternità dello stesso da altri elementi.
Nel caso di specie, pur essendo pacifica la circostanza della mancanza di sottoscrizione del ricorso nativo digitale, il medesimo era stato notificato via PEC, dal professionista con attestazione della conformità dell’atto all’originale, sottoscritta dallo stesso difensore all’atto del deposito.