Accertamento, riscossione e contenzioso
03 Novembre 2023
Lo schema di decreto attuativo della riforma fiscale definisce i casi di autotutela in ambito tributario.
Il Fisco dovrà annullare gli atti contenti errori manifesti e rinunciare, negli stessi casi, alla pretesa impositiva. Tutto ciò anche in assenza di apposita istanza di parte, in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, a patto che la definitività stessa non dipenda dal decorso di almeno 3 mesi dalla mancata impugnazione. Anche al di fuori dei casi in cui l’annullamento degli atti impositivi è d’obbligo, l’Amministrazione Finanziaria potrà sempre procedere all’annullamento o alla rinuncia della pretesa, quando si è presenza di un’illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione (c.d. autotutela facoltativa). Per i funzionari preposti, il mancato esercizio dell’autotutela obbligatoria può essere fonte di responsabilità perseguibile in sede amministrativa limitatamente alle sole ipotesi di dolo.
Sono queste, in sintesi, le modalità con cui si intendono attuare le disposizioni contenute nell’art. 4 della legge delega di riforma fiscale (L. 111/2023) in materia di autotutela.
Nello schema di decreto attuativo, l’istituito dell’autotutela in ambito tributario viene scisso in 2 distinte fattispecie: l’autotutela obbligatoria e l’autotutela facoltativa.
L’autotutela obbligatoria, come detto, scatta in tutte le ipotesi di errori manifesti o di evidente illegittimità dell’atto, in presenza dei quali l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di annullare, in tutto o in parte, l’atto emesso o rinunciare alla pretesa impositiva.
L’Ufficio non procederà all’annullamento in tutte le ipotesi in cui sia intervenuta sentenza passata in giudicato a essa favorevole, nonché in caso di atti definitivi per decorso del termine di 3 mesi dalla mancata impugnazione (in genere dopo 150 giorni dalla notifica).
Gli errori manifesti che obbligano l’Ufficio all’annullamento sono:
Relativamente alle valutazioni operate dagli Uffici in tale ambito è prevista una responsabilità in sede amministrativa dell’Amministrazione Finanziaria che non ha dolosamente annullato o rinunciato all’imposizione.
Fuori dalle specifiche ipotesi che danno luogo all’autotutela obbligatoria, l’Amministrazione Finanziaria può sempre procedere all’annullamento, totale o parziale, degli atti di imposizione, o rinunciare alla pretesa, anche in assenza di istanza di parte, in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, quando si è in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione.
Si tratta quindi di una fattispecie che potrà essere attivata in tutte le situazioni di errori o di illegittimità non evidente come quelle previste per l’autotutela obbligatoria.
Resta ovviamente sempre possibile che sia il contribuente a sollecitare, con apposita istanza, la rettifica o l’annullamento dell’atto da parte del Fisco. Situazione quest’ultima che nella pratica sarà quella predominante.
Stranamente lo schema di decreto attuativo nulla dice circa la possibilità, per il contribuente, di impugnare il diniego dell’Ufficio all’autotutela o il suo silenzio in relazione alle istanze di parte che risulta invece espressamente prevista nel citato art. 4, lett. h) L. 111/2023.
Suscita inoltre stupore il fatto che è dovuto intervenire il Legislatore per ribadire l’obbligo di autotutela da parte degli Uffici. Un’Amministrazione imparziale non avrebbe infatti bisogno di alcun sollecito. Gli atti viziati da errori manifesti dovevano e devono sempre essere annullati, pena l’illecito arricchimento dello Stato.