Procedure concorsuali
08 Gennaio 2019
Dichiarato il fallimento, il curatore nell’esaminare le domande di insinuazione allo stato passivo, è pienamente legittimato a eccepire le pretese creditorie a ragione della revocabilità del relativo titolo, ovvero quando queste siano idonee a configurare una delle cause di cui agli artt. 66 e 67 L.F. Si parla di revocatoria incidentale o in breve: l’effetto tipico non è però quello di dichiarare inefficaci i crediti o il titolo di prelazione su cui questi si fondano (al pari della revocatoria fallimentare), bensì quello di paralizzare la pretesa creditoria e solo successivamente esperire, se utile, azione revocatoria ai sensi del disposto art. 67 L.F. o del codice civile. Il giudice, su eccezione avanzata dal curatore, si limiterà a escludere il credito o la prelazione, con effetti limitati all’ambito della verifica dello stato passivo al quale la richiesta del curatore è strettamente funzionale.
Erroneamente tale istituto viene considerato quale strumento di revoca: in capo al curatore si viene a originare, per quanto qui concerne, il solo onere di sollevare o meno le eccezioni in sede di formazione dello stato passivo in merito alla revocabilità, e non già alla revoca, dell’atto. Al curatore è quindi riconosciuta la possibilità di escludere un credito o una garanzia quando ricorrano gli estremi previsti dagli artt. 66 e 67 L.F., sebbene non sia stata intrapresa né si intraprenderà azione revocatoria, nè sia ancora intervenuta apposita pronuncia di revoca del giudice delegato.
Diversamente, se il curatore non eccepisca al creditore alcunché in sede di formazione dello stato passivo, e ammetta l’intero suo credito riconoscendo, se esistenti, anche le garanzie reali su cui il titolo poggia, dopo l’ammissione non gli è preclusa la possibilità di esperire azione revocatoria ai sensi della legge fallimentare.
Variegato risulta il mondo della revocatoria: i diversi istituti costituenti la fattispecie non possono però che determinare differenti effetti e conseguenze, sia sul piano sostanziale che procedurale. L’azione revocatoria ordinaria determina l’inefficacia relativa all’atto revocato e al diritto del revocante di procedere a esecuzione forzata solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di revoca dell’atto compiuto in danno ai creditori.
Con la revocatoria semplificata (art. 2929-bis C.C.), in cui viene sostituita la sentenza del giudice con una mera affermazione del creditore, quest’ultimo può procedere direttamente, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata al verificarsi di determinate condizioni sancite dal codice civile.
In ambito fallimentare invece, l’art. 64 L.F. permette di reintegrare e riportare nel patrimonio fallimentare, con la sola trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità se compiuti dal fallito nei due anni anteriori sentenza di fallimento. Diversamente, con la revocatoria fallimentare ex art. 67 L.F., esperibile solo qualora venga accertato lo stato di decozione dell’impresa e dell’imprenditore, il curatore può decidere, ove ricorrano i presupposti, se agire in giudizio contro gli atti posti in essere dal fallito che hanno attentato all’integrità del suo patrimonio e del patrimonio dell’impresa, ledendo così le ragioni dei creditori.
Per poter reintegrare l’attivo patrimoniale e riportare quanto indebitamente fuoriuscito, è necessario attendere però l’esito della sentenza, che deciderà in merito all’inefficacia o meno dell’atto pregiudizievole.
In tale contesto, l’originalità della revocatoria in breve o incidentale risiede proprio nel potere-dovere del curatore di sollevare ed eccepire fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se prescritta la relativa azione già in sede di formazione dello stato passivo, potendo proporre di escludere, egli stesso, titoli e garanzie che si presumono essere non certi, invalidi e inefficaci. Se il giudice delegato decide in tal senso, al creditore escluso rimane la proposizione delle osservazioni o di un apposito ricorso.