Lettera del direttore ·
13 Dicembre 2024
Leggere il rapporto Censis 2024 sull’Italia non restituisce una bella immagine di quella che, invece, dovrebbe essere una meravigliosa terra. I dati in negativo sono veramente tanti, a dispetto di una autonarrazione sempre molto ottimistica. Non solo di quella politica o mediatica, ma anche di quella che ci costruiamo per tenerci su di morale. Il rapporto tra conoscenza e sviluppo produttivo esce malissimo. Così come si evidenzia una spinta propulsiva verso l’aumento del benessere alquanto smorzata.
Leggere il rapporto Censis 2024 sull’Italia non restituisce una bella immagine di quella che, invece, dovrebbe essere una meravigliosa terra. I dati in negativo sono veramente tanti, a dispetto di una autonarrazione sempre molto ottimistica. Non solo di quella politica o mediatica, ma anche di quella che ci costruiamo per tenerci su di morale. Il rapporto tra conoscenza e sviluppo produttivo esce malissimo. Così come si evidenzia una spinta propulsiva verso l’aumento del benessere alquanto smorzata.
Negli ultimi venti anni il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7% e nell’ultimo decennio è diminuita anche la ricchezza netta pro-capite del 5,5%. Due dati che mostrano una sofferenza sempre più evidente della classe media, mentre altre fonti sottolineano l’incremento del divario tra pochi, sempre più ricchi, e molti, sempre più poveri. Nell’abbondanza dei dati rilevati si percepisce un Paese sfibrato, che riesce a rimanere a galla con fatica nei periodi di crisi e che non presenta particolari spunti nei cicli economici positivi. Un galleggiamento medio è quello che ci contraddistingue: non ci fa annegare ma nemmeno approdare a una bella spiaggia.
Leggendo tra i capitoli mi ha incuriosito il rapporto tra due aree di analisi che presentano dati singolari e a volte allarmanti. La prima è l’analisi dell’immigrazione, in cui si evidenzia un’Italia prima in Europa per concessione di cittadinanza a stranieri. Nel 2023 sono state concesse 213.567 cittadinanze in Italia, in Spagna erano 181.000, in Germania 166.000, in Francia 114.000 e in Svezia 92.000. Ora, a guardar bene, il primato spetterebbe, in rapporto agli abitanti, alla Svezia che concede una cittadinanza ogni 112 svedesi contro i 276 italiani e i 269 spagnoli. Tuttavia, il dato è rilevato dal Censis come trasformazione antropologica della popolazione italiana, che fa risultare un 38,3% di italiani che si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti. Personalmente pensavo a un dato più alto, ma risulta comunque significativo.
La seconda area di analisi riguarda la presunta ignoranza degli italiani i quali, secondo alcuni indicatori, sembrano un popolo completamente all’oscuro non solo della lingua italiana, ma della storia e delle minime conoscenze che costituiscono una cultura, ancorché nozionistica, comune. Sono stati ampiamente pubblicizzati i dati di coloro che non conoscono Mazzini, che non sanno chi ha dipinto la Cappella Sistina o l’anno della Rivoluzione Francese. La scuola non ne esce bene. L’apprendimento dell’italiano risulta insufficiente per il 24,5% degli scolari elementari, il 40% degli studenti delle medie e per il 43,5% di quelli delle superiori, con punte dell’80% per gli istituti professionali. Ancor peggio per la matematica che registra, rispettivamente al ciclo di istruzione, il 31,8%, il 44% e il 47,5% degli insufficienti limiti di apprendimento. È un quadro desolante che mi è assolutamente nuovo rispetto alle mie conoscenze di studenti italiani che frequentano il quarto anno delle superiori all’estero con ottimi risultati rispetto agli studenti locali. Sono certo, però, che si tratti di eccezioni.
Se la situazione è questa, non resta da chiedersi che significato abbia il concetto di ius culturae quando dovremmo chiedere, per concedere la cittadinanza agli immigrati, nozioni con cui gli stessi nativi italiani non hanno confidenza. Sarà un paradosso, ma forse sarebbe meglio usare altri criteri.
P.S.: l’autonarrazione, soprattutto quella politica, ha radici che affondano nella storia. Sarà un gran giorno quando, il governo e le opposizioni di turno, qualunque sia il “colore”, si combatteranno sul terreno del confronto, magari aspro, ma costruttivo, e non sullo scontro, pregiudiziale e inevitabilmente pretestuoso, che produce soprattutto un effetto: mistificare la realtà, nell’insensata pretesa che solo da una parte vi siano cose buone e belle. In attesa di quel giorno…