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14 Dicembre 2024

L’inversione del trasferimento tecnologico

In una libera economia di scambio le innovazioni prodotte all’estero sono a tutti gli effetti patrimonio dei Paesi in cui sono state realizzate, indipendentemente dai soggetti che ne hanno curato lo sviluppo e la diffusione.

Questo assunto vale anche per quelle innovazioni prodotte da cosiddetti “cervelli in fuga”, ossia quei soggetti professionalmente qualificati che hanno scelto di trasferirsi all’estero per motivi di lavoro.

La conseguenza macroeconomica del fenomeno è che il Paese d’origine, che a sua volta necessita di innovazione, dovrà in un futuro prossimo in qualche modo riacquistare il patrimonio intellettuale, da qui il termine moderno “brain drain” (contestualizzando la traduzione “trasferimento tecnologico inverso”) rappresentativo di questo meccanismo che sta prendendo sempre più piede nel contesto attuale.

Viene abbastanza facile pensare come oggi, in presenza di un capitale nazionale seriamente insufficiente, una perdita secca di risorse umane qualificate sia qualcosa che la nazione intera e, per la propria competenza, le singole imprese, dovrebbero tentare di evitare adottando tutte le misure possibili.

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