Amministrazione e bilancio
04 Gennaio 2025
La predisposizione di un report di sostenibilità richiede competenze, processi, strumenti, persone e ruoli; la loro assenza espone le imprese al rischio di sanzioni pecuniarie, amministrative e, in taluni casi, anche penali. Come fare per evitarlo.
Il 2025 è arrivato – Dopo il primo anno di rendicontazione obbligatoria della sostenibilità (rif. Direttiva UE 2022/2464), riservato ai cd. “enti di interesse pubblico rilevanti”, tocca ora alle imprese di grandi dimensioni (art. 1 D.Lgs. 6.09.2024, n. 125) che, nel 2026, andranno a rendicontare il 2025.
Si presti debita attenzione ai livelli informativi minimi, qualitativi e quantitativi, richiesti da una normativa che:
– impone il rispetto degli standard definiti dal regolamento delegato UE 2023/2772 (European Sustainability Reporting Standards – ESRS);
– prevede una serie estesa di informazioni obbligatorie (descrizione del business model e della strategia aziendali, delle procedure di due diligence e dei principali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore, di tanti altri elementi informativi più dettagliatamente indicati dall’art. 3 D.Lgs. 125/2024);
– introduce la figura del revisore della sostenibilità e, nel disciplinare lo svolgimento dell’incarico di attestazione sulla conformità della rendicontazione di sostenibilità, stabilisce che quest’ultimo vada a esprimere le proprie conclusioni circa la conformità del report alle prescrizioni contenute negli ESRS, all’obbligo di marcatura del documento e all’osservanza degli obblighi di informativa previsti dall’art. 8 reg. UE 2020/852 (Tassonomia UE);
– include la rendicontazione nella relazione sulla gestione, come pure la relazione di attestazione della sua conformità.
Sono inoltre previsti nuovi obblighi informativi e comunicativi, una nuova configurazione di bilancio e un nuovo sistema sanzionatorio.
Sfide della sostenibilità – Le imprese neofite della materia dovranno ora predisporre il report di sostenibilità e farlo in un modo accurato e incontestabile, attivando un mix di competenze tecniche, gestionali e strategiche tali da permettere una corretta applicazione degli ESRS e della Tassonomia, l’adozione di un approccio multidisciplinare, coinvolgendo aziendalisti ed esperti in ambiente, diritto e comunicazione e un utilizzo adeguato di strumenti digitali avanzati per raccogliere, analizzare e verificare i dati relativi agli impatti ESG delle attività d’impresa.
Quali rischi si corrono – Le aziende inadempienti si espongono non solo al rischio di sanzioni significative (art. 10 D.Lgs. 125/2024), ma anche (e soprattutto) a quello di danni reputazionali, derivanti dalla pubblicazione delle inadempienze da parte delle autorità competenti, dal tam-tam mediatico e di cause legali, con possibili ripercussioni sulla governance aziendale e sulla fiducia degli investitori.
Urgenza di agire subito – Il tempo è un fattore critico per le imprese che non si sono ancora attivate (e i professionisti che le supportano). Organizzare e mettere a regime ruoli, responsabilità e processi può richiedere anni, non mesi, di lavoro alle imprese neofite della materia (e ve ne sono molte).
Tra le priorità operative rientrano:
– la formazione di un team ESG dedicato, con ruoli chiari e competenze definite;
– la definizione di sistema di monitoraggio dei dati, per garantire la tracciabilità e l’accuratezza delle informazioni;
– l’effettuazione di un audit interno preliminare, per individuare eventuali lacune e definire azioni correttive;
– il coinvolgimento di consulenti esterni, se necessario, per supportare l’azienda nel rispetto delle nuove normative.
Bando agli indugi, è ora di agire prima che sia troppo tardi.