Paghe e contributi
15 Novembre 2022
Evoluzione normativa e tendenze equiparatrici con le lavoratrici subordinate.
Quando si parla di tutela delle lavoratrici madri, il pensiero comune corre subito al lavoro dipendente, ritenendo che quello autonomo sia sprovvisto di quei diritti e quelle protezioni che caratterizzano l’intera materia. In realtà, negli ultimi anni, si è assistito a una sempre più marcata tendenza equiparatrice tra le 2 tipologie di lavoratrici, specie in tema di indennità di maternità.
In tal senso, la vera svolta si è avuta con la L. 379/1990 che ha esteso il suddetto beneficio alle libere professioniste per il periodo corrispondente ai 2 mesi precedenti il parto e ai 3 mesi successivi. Analogamente a quanto previsto per il lavoro subordinato, la misura dell’indennità è pari all’80% di 5/12 del reddito percepito e denunciato dalla professionista nel 2° anno precedente quello del parto. In ogni caso, il trattamento minimo non può essere inferiore all’importo previsto per gli impiegati del commercio.
Per correggere alcuni fenomeni distorsivi rilevati dopo l’applicazione della suddetta norma, la successiva L. 289/2003 ha apportato 2 importanti modifiche:
Un ulteriore impulso a tale istituto lo ha dato la legge di Bilancio del 2022 che ha previsto la possibilità per le professioniste iscritte a una cassa professionale o alla Gestione Separata Inps, di fruire di altri 3 mesi, a condizione che il reddito dichiarato nell’anno precedente l’inizio del periodo di maternità sia inferiore a 8.145 euro. È importante far notare come tale tutela si applichi anche in caso di adozione e affidamento.
Un’interessante novità in materia è stata poi introdotta dal Decreto conciliazione vita-lavoro pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29.07.2022 ed entrato in vigore il 13.08.2022, che ha riconosciuto il diritto all’indennità anche in casi di gravidanza a rischio accertati dall’ASL, la cui fruizione è possibile prima dei 2 mesi antecedenti al parto.
Sul punto, l’unico motivo di perplessità, rispetto al lavoro subordinato, è che, malgrado il conclamato stato di rischio, non è obbligatoria l’astensione dall’attività lavorativa.
Tuttavia, tale previsione si pone in linea con uno storico orientamento della Corte Costituzionale che nelle sentenze nn. 181/1993 e 150/1994 aveva già sancito il diritto delle libere professioniste di ottenere il beneficio in questione pur continuando a lavorare senza alcun limite, anche fino al giorno prima del parto.
A tale orientamento si era opposta la Cassa notarile che, nell’interesse della salute del bambino e della puerpera, riteneva invece necessario applicare alle proprie iscritte l’interdizione dal lavoro durante il periodo di percezione dell’indennità di maternità, così come imposto alla generalità delle lavoratrici.
Con sentenza n. 3/1998 la Consulta ribadiva la legittimità dell’art. 1 L 379/1990 precisando che “la tutela costituzionale del diritto alla salute della donna e del bambino, infatti, non è vulnerata dalla esistenza di una norma che per una determinata categoria di lavoratrici stabilisce una protezione complessivamente adeguata alle peculiari caratteristiche della categoria medesima”.