Diritto del lavoro e legislazione sociale
15 Aprile 2024
Deve essere sanzionato il comportamento dell’impresa che non fornisce le notizie richieste legalmente dall’Ispettorato del Lavoro (Cass. sent. 12.02.2024, n. 5992).
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5992/2024, ha ribadito che l’omesso riscontro della richiesta di notizie da parte dell’Ispettorato del Lavoro integra il reato di cui all’art. 4 L. 628/1961. Tale richiesta può anche essere indirizzata alla PEC, indicata nel Registro delle Imprese, trattandosi di un mezzo legale di comunicazione per la società, che offre garanzie di accertamento della data di spedizione e di ricevimento da parte del legale rappresentante.
L’art. 4 L. 22.07.1961, n. 628 stabilisce i compiti dell’Ispettorato del Lavoro e riconosce allo stesso determinate facoltà, tra le quali la possibilità di richiedere e acquisire notizie o documenti necessari alla propria attività istituzionale. Sempre l’art. 4, al comma 7, prevede una sanzione per chi non fornisce le notizie legalmente richieste dall’INL, tale omissione viene punita con l’arresto fino a 2 mesi o con l’ammenda fino a 516 euro.
Il reato si configura nelle ipotesi di omessa esibizione di documentazione all’Ispettorato del Lavoro necessaria per la vigilanza sull’osservanza delle disposizioni in materia di lavoro, previdenza sociale e contratti collettivi di categoria. Il reato si consuma, qualora nella richiesta sia previsto un termine per l’adempimento, alla scadenza di detto termine e si protrae per tutto il tempo in cui il destinatario omette volontariamente di adempiere. Il giudice di merito, nel caso specifico, ha dato per accertata la conoscenza, da parte dell’imputato, della prima comunicazione inoltrata dagli Ispettori del Lavoro alla casella PEC della società.
La guida online che approfondisce l’attività ispettiva con le ultime novità normative. Aggiornata con la Nota INL 724 del 30.10.2023 relativa ad ammende e sanzioni amministrative in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro.
La Cassazione, pertanto, fa proprio il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la richiesta di fornire informazioni si considera legalmente data quando è inviata all’indirizzo PEC contenuto nel Registro delle Imprese, trattandosi di un mezzo legale di comunicazione per le società, che offre garanzie di accertamento sulla data di spedizione e di ricevimento da parte del legale rappresentante. La “non conoscibilità”, evidenziata dal ricorrente, fa leva sulla circostanza che la comunicazione è pervenuta in una casella PEC il cui accesso era inibito a causa del provvedimento di sequestro.
Tale doglianza non viene accolta in quanto il reato ha natura di contravvenzione e, pertanto, punibile sia a titolo di dolo che di colpa. Il dolo e la colpa sono titoli soggettivi dell’imputazione alternativi ed equiparabili e la colpa, al pari del dolo, rileva come titolo di integrazione del reato. Nel caso specifico siamo, quantomeno, di fronte alla violazione del dovere di diligenza, essendo onere dell’amministratore accedere e riscontrare le comunicazioni inviate e ricevute alla società.
La sentenza è particolarmente interessante anche con riferimento all’istituto della tenuità dell’offesa di cui all’art. 131-bis c.p. La Suprema Corte ribadisce che è il Giudice di merito che determina la configurabilità della causa di non punibilità e tale decisione, se esente da vizi logico-giuridici, non è sindacabile in Cassazione. Pertanto, quando l’Ispettorato domanda rispondere è un dovere e non solo una cortesia.