Imposte dirette
04 Giugno 2021
La risposta all'interpello n. 311/2021 si accoda a una lunga serie di istruzioni amministrative volte a dipanare la lunga querelle tra regole normative (art. 51, c. 2 del Tuir) e applicazione pratico/operativa del welfare aziendale.
Sul tema, una recente risoluzione che ha lasciato molti addetti ai lavori con qualche perplessità è la n. 55/E del 25.09 scorso attraverso la quale l’Agenzia “negava l’accesso” ai benefici fiscali (e contributivi) al welfare aziendale erogato per riconoscere premialità su obiettivi individuali dei lavoratori.
Le conclusioni fornite dall’Agenzia delle Entrate avevano palesemente contraddetto i propri indirizzi forniti con precedenti istruzioni. In particolare:
La risoluzione n. 55/E/2020, invece, fissava questi principi: “qualora tali benefit rispondano a finalità retributive (ad esempio, per incentivare la performance del lavoratore o di ben individuati gruppi di lavoratori), il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione. Non appare in linea con le medesime disposizioni (finalità del welfare aziendale) una ripartizione effettuata in base alle presenze/assenze dei lavoratori in azienda oppure una erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile dei lavoratori”.
Non posso omettere di dire che più di qualche azienda assistita, che aveva sottoscritto accordi, anche premiali, ha telefonato al nostro studio nei giorni successivi alla pubblicazione della risoluzione in commento in preda ad un certo (e motivato) panico.
Niente paura! Confidiamo in un (altro) cambio di rotta!
Infatti, a distanza di mesi una società che opera nel comparto della meccanica e che applica il CCNL Metalmeccanica Industria, intende introdurre un piano di welfare a carattere premiale rivolto a 2 categorie di soggetti (Team Direzionale composto da 9 lavoratori e Team CSI composto da 16 lavoratori), mediante un regolamento aziendale che disciplini la categoria dei soggetti beneficiari, le somme, opere e/o servizi riconosciuti.
Nel caso affrontato il piano prevede l’assegnazione di un budget di spesa figurativo, totalmente a carico del datore di lavoro e non rimborsabile, diversificato per categoria, assegnato a ciascun lavoratore sulla base del raggiungimento di specifici obiettivi e modulato rispetto a servizi, opere e somme stanziate come da regolamento appositamente adottato.
Viene specificato che i benefit individuati in detto regolamento potranno essere utilizzati mediante il ricorso e la messa a disposizione da parte dell’azienda di una specifica piattaforma web personalizzabile che consente la fruizione integrata e flessibile del basket previsto dal piano welfare attraverso l’assegnazione di un budget di spesa figurativo (cd. credito welfare) totalmente a carico del datore di lavoro e non rimborsabile, nei limiti di spesa di quanto previsto dallo stesso regolamento.
I benefit potranno essere fruiti, in particolare, mediante opere e/o servizi di welfare individuati nella piattaforma e attraverso l’assegnazione di borse di studio che potranno essere richieste secondo le condizioni e i limiti previsti nel regolamento.
Come sopra anticipato i benefit sono rivolti a specifiche categorie di soggetti (Team Direzionale e Team CSI), non sono rivolti ad personam e, aspetto non da poco, non sono in ogni caso convertibili in denaro nel caso di totale o parziale mancato utilizzo.
Il quesito posto dalla Società, oltre ad essere volto a conoscere l’effettiva esclusione dall’imponibile fiscale (e contributivo), è interessante perché chiede il parere all’Agenzia, nel caso in cui il lavoratore non utilizzi in tutto o in parte il “credito welfare”, se la quota maturata nel primo anno possa essere cumulata con quanto maturato nel secondo anno.
L’Agenzia, nella risposta in esame (interpello 30.04.2021, n. 311), ricorda l’ormai assillante principio di onnicomprensività delle retribuzioni previsto dall’art. 51 del Tuir, come una sorta di castigo eterno: tutto ciò che viene percepito in costanza di rapporto (anche in natura, anche sotto forma di erogazioni liberali) costituisce reddito, e su tutto dovranno essere pagate le relative imposte.
In seconda battuta, l’Agenzia torna sulle eccezioni alla regola, previste dal c. 2 del medesimo art. 51. In particolare, viene ricordato quanto segue:
Ma la parte più interessante, da tenersi ben stretta, riguarda la riapertura dell’Agenzia (con un terzo cambio di rotta!) al regime di esclusione dal reddito anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro eroghi detti beni e servizi, senza possibilità di sostituirli con somme di denaro, a titolo premiale. Questo a condizione che l’erogazione in natura non si traduca in un “aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro dipendente, e in una violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione”. È necessario, secondo l’Agenzia, che non siano alterate le regole di tassazione dei redditi di lavoro dipendente atte ad attrarre nella base imponibile qualunque forma di retribuzione, anche erogata in natura.
Un altro aspetto interessante chiarito dalla stessa Agenzia è la conferma che il mancato utilizzo, in tutto o in parte, del credito welfare maturato nel primo anno, possa essere cumulato con quanto maturato nel secondo anno sempre a condizione che tali somme non siano convertibili in denaro.
Sembrano buone nuove quelle dell’Agenzia che pare, finalmente, ritornare su una più condivisibile interpretazione normativa.
Attenzione però, perché un passaggio citato in modo pericoloso (e per due volte) dall’interpello in commento è che il caso riguarda somme che “non sono in ogni caso convertibili in denaro nel caso di totale o parziale mancato utilizzo”. Ergo (perché sarebbe troppo facile chiudere con un lieto fine), se l’accordo dovesse prevedere una conversione del welfare premiale in denaro, dopo un periodo di tempo ragionevole, questa clausola comprometterebbe la “tenuta” del welfare premiale?
Ai posteri l’ardua sentenza.