Amministrazione e bilancio
11 Novembre 2022
Con l’inflazione che al 31.10.2022 ha raggiunto un tasso pari al 11,9% su base annua, derivano incrementi del capitale circolante con fabbisogni finanziari e valori reali non rilevati adeguatamente nel conto economico.
I dati provvisori dell’ISTAT al mese di ottobre 2022 registrano un’inflazione su base annuale del 11,9% che, per la dimensione raggiunta, ha oramai forti effetti distorsivi sulle voci di bilancio. Il conseguente aumento dei prezzi di vendita e di acquisto determina infatti inevitabilmente un incremento dello stock dei crediti e dei debiti con un effetto combinato, che comporta una crescita tendenziale del capitale circolante netto operativo in linea con l’inflazione. Ne consegue la necessità di politiche finanziare volte ad adeguare le linee di fido di smobilizzo per prevenire tensioni finanziarie.
L’inflazione ha poi un significativo impatto sull’altra voce del circolante operativo rappresentata dalle rimanenze. Nel caso in cui vengono valorizzate al LIFO (Last in First out), il loro reale valore a bilancio sarà sottostimato, mentre nel conto economico verrà meglio rilevato il costo effettivamente supportato per i fattori produttivi impiegati nell’anno. Se, invece, le rimanenze sono valutate al FIFO (First in First out) le giacenze saranno in linea con i valori correnti, ma occorrerà considerare che il risultato di conto economico viene migliorato (le maggiori rimanenze finali concorrono con i ricavi) per aver beneficiato di risorse acquistate in precedenza a prezzi inferiori. Di questo ne andrà tenuto in adeguato conto nella valutazione delle performance conseguite nel 2022, che rischiano, così “drogate”, di essere giudicate migliori rispetto all’effettiva capacità competitiva dell’impresa di preservarle.
Altro effetto distorsivo è determinato dall’impossibilità per il sistema della partita doppia di contabilizzare le perdite di valore indotte dall’inflazione sugli asset finanziari. Come noto, i principi contabili valutano i crediti al costo ammortizzato per adeguarli alla loro reale consistenza al fine di dare una corretta rappresentazione del patrimonio netto aziendale. Tuttavia questo criterio non consente di rilevare l’impatto della svalutazione sulle giacenze di tesoreria!
Esempio – Per assurdo, l’impresa che durante tutto un esercizio mantenga una disponibilità di cassa di 1 milione di euro a fronte di un patrimonio netto di uguale importo, non rileverà contabilmente nessuna perdita ma avrà invece subito una riduzione reale di valore, stimabile con l’inflazione di oggi pari a 119.000,00 euro, per effetto della perdita di potere di acquisto del denaro in cassa.
Un analogo ragionamento è applicabile alle poste attive finanziarie, il cui “fair value” non subisce variazioni per effetto dell’inflazione in quanto produttive di interessi compensativi della svalutazione subita, tale per cui il loro valore a bilancio rimane invariato secondo il criterio del costo ammortizzato. La distorsione in questo caso è collegata agli interessi attivi che transitano a conto economico, gonfiando il risultato della gestione finanziaria e l’utile di esercizio. Una rappresentazione più rispondente ai risultati di gestione richiederebbe la contabilizzazione a deconto dei ricavi finanziari anche della “perdita inflattiva” di valore subita dall’asset dal tempo N al tempo N+1.
Un ragionamento speculare è ovviamente altrettanto valido per le passività, tipicamente quelle bancarie, dove i finanziamenti sono a tassi variabili. Di fatto, a conto economico vengono contabilizzati tassi passivi che inglobano al loro interno anche una percentuale di rimborso del capitale o meglio una perdita del reale valore del debito.
Infine, ma non meno rilevante, è l’attenzione che deve essere posta su fatturato e marginalità economiche se a confronto con i risultati degli anni precedenti. Le variazioni rilevate, infatti, rischiano di essere forvianti perché fittizie in quanto conseguenti a effetti monetari e non reali. L’analisi in questo caso deve essere attuata sulle quantità e non sui prezzi.