Società e contratti
17 Novembre 2022
L'ordinanza n. 8201/2020 della Cassazione ha invertito la rotta sull’inerenza dei debiti ai bisogni della famiglia.
Si parla del “fenomeno di segregazione patrimoniale” in tutti quei casi in cui la legge consente ai privati di separare determinati beni dalla propria sfera giuridica, senza tuttavia privarsi della titolarità formale, imprimendo sui medesimi un vincolo di destinazione da cui scaturisce l’impossibilità di sottrarli alla finalità indicata. Un’ipotesi speculare di segregazione patrimoniale si verifica certamente nel fondo patrimoniale, ossia nel vincolo di destinazione posto nell’interesse del nucleo familiare su un complesso di beni determinati, destinati unicamente al soddisfacimento dei diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione, derivanti dalla famiglia.
Secondo l’art. 167 c.c., ciascuno o ambedue i coniugi – oppure i soggetti uniti civilmente, che non siano meramente conviventi di fatto – per atto pubblico, nonché un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni (che possono essere immobili, mobili registrati e anche titoli di credito: non il denaro) a far fronte alle esigenze della famiglia. La costituzione per atto tra vivi, effettuata da un soggetto terzo, si perfeziona con l’accettazione dei coniugi.
Secondo l’art. 168, c. 1 c.c., la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta a entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione. Pertanto, può accadere che la proprietà dei beni assoggettati al vincolo rimanga in capo al costituente; in particolare, è possibile che uno dei coniugi conservi la proprietà del bene devoluto, oppure che il terzo abbia destinato al fondo patrimoniale della famiglia un proprio bene, pur conservandone la proprietà.
A prescindere dalla riserva o meno della proprietà del bene in capo al costituente del fondo patrimoniale, l’inclusione nel medesimo fondo determina, ai sensi dell’art. 168, c. 3 c.c., l’applicazione delle norme relative all’amministrazione della comunione legale. Ne deriva che la costituzione in fondo patrimoniale di un bene di uno solo dei coniugi o di un terzo, che resta di proprietà dei medesimi, comporta la necessità che qualunque atto di straordinaria amministrazione del bene sia sottoscritto da entrambi i coniugi. In tema di comunione legale, ai sensi dell’art. 180 c.c., spetta congiuntamente a entrambi i coniugi il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula di contratti, con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni. Tale concetto viene ribadito dall’art. 169 c.c., secondo cui, salvo che non sia stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o, comunque, vincolare i beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e se vi sono figli minori, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente.
L’art. 171 c.c. verte la durata del fondo patrimoniale; la destinazione del fondo termina a seguito dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio; tuttavia, se vi sono figli minori, il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo dei figli. Per essere opponibile ai terzi, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale deve essere annotato a margine dell’atto di matrimonio e indicare, a mente dell’art. 162, c. 4 c.c., la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti. Per di più, come previsto dall’art. 163, c. 3 c.c., devono essere annotate a margine dell’atto di matrimonio anche le intervenute modifiche del fondo patrimoniale e ogni altro atto, con il quale le parti convengano di conferire nuovi beni nel fondo; tale annotazione deve essere richiesta a cura del notaio rogante, entro 30 giorni dalla stipula dell’atto. In ottemperanza alle disposizioni previste dagli artt. 2643, 2645, 2647 e 2683 c.c., l’atto costitutivo è altresì soggetto a trascrizione, qualora abbia ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati.
Con riferimento alla nozione di “soddisfacimento dei bisogni della famiglia”, giova ricordare come la Suprema Corte tenda costantemente ad attribuire una portata molto ampia al concetto, precisando che le necessità del ménage familiare non possono ridursi ai meri bisogni essenziali della famiglia. Di conseguenza, al fine di stabilire gli esatti confini di tale nozione, non si dovrà fare riferimento alle sole esigenze indispensabili, come ad esempio l’abitazione, l’istruzione della prole, ma, anche a tutto quanto sia connesso alla necessità di pieno mantenimento e armonico sviluppo della famiglia medesima, nonché al potenziamento della capacità lavorativa familiare e secondo i bisogni ritenuti tali dai coniugi, in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, anche considerando le proprie possibilità economiche. Vi rientrano anche i debiti per oneri condominiali e per spese processuali sopportate dal condominio per riscuotere i medesimi, relativi ad un immobile facente parte del fondo patrimoniale. Al contrario, sono escluse dal novero dei bisogni familiari le sole esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi.
A queste, la Cassazione Civile, con l’ordinanza 27.04.2020, n. 8201, ha aggiunto le esigenze familiari indirette, sancendo che, se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell’attività professionale da cui quest’ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell’art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale. Pertanto, la definizione di “bisogni della famiglia” non può essere ampliata a tal punto, da comprendere le esigenze familiari indirette, nonostante, nel corso degli anni la giurisprudenza della Suprema Corte abbia elaborato una nozione tutt’altro che restrittiva, tale da non essere ricondotta ai soli bisogni essenziali.
Concretamente, i beni compresi nel fondo patrimoniale possono essere aggrediti solo dai creditori della famiglia; pertanto, può aversi esecuzione forzata solo per i debiti contratti per le esigenze connesse ai bisogni familiari secondo la nozione esaminata e in tal modo conosciute dal creditore; in caso contrario, il fondo è escluso da procedure esecutive. La medesima regola ha valenza anche quando si tratta di obbligazioni risarcitorie, sicché il fondo patrimoniale non potrà fornire alcuno scudo protettivo all’azione esecutiva, qualora la fonte dell’obbligo al risarcimento sia ricollegabile al soddisfacimento dei bisogni familiari.
Per salvaguardare e sottolineare la speciale destinazione dei beni così costituiti, l’art. 170 c.c., disciplinando l’esecuzione forzata sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale, individua 3 categorie di debiti:
Con tale norma, viene stabilito che l’esecuzione forzata è consentita solo nei confronti dei primi e dei secondi.
Se il fondo patrimoniale viene dichiarato inefficace per effetto di un’azione revocatoria (ordinaria o fallimentare), i beni che ne sono oggetto sono privi di barriere protettive e possono essere direttamente sottoposti ad esecuzione forzata (sentenza Cassazione 30.01.2020, n. 2077). Con il pignoramento revocatorio previsto dall’art. 2929-bis c.c., il creditore munito di titolo esecutivo può pignorare direttamente i beni vincolati in fondo patrimoniale, senza esperire l’azione revocatoria, se trascrive il pignoramento entro un anno dalla trascrizione del fondo patrimoniale.
L’ordinanza n. 8201/2020 citata ha dunque invertito la rotta, per quanto concerne l’inerenza dei debiti ai bisogni della famiglia. Stante la lunga sospensione dei pignoramenti disposta nel periodo della pandemia, la pronuncia rappresenta uno spiraglio per la difesa del cliente di studio contro una potenziale azione esecutiva promossa dal creditore.