Paghe e contributi
27 Luglio 2020
Necessario provare l'infruttuosa esecuzione forzata, senza che possa essere richiesto l'esperimento di ogni possibile azione per reperire beni aggredibili dell'imprenditore.
In ipotesi di datore di lavoro non assoggettabile (o non assoggettato) a procedura concorsuale, la legge (art. 2, c. 5 L. 297/1982) si limita a prevedere, come presupposto per l’accesso al Fondo di garanzia, l’insufficienza in tutto o in parte delle garanzie patrimoniali del debitore assoggettato a esecuzione forzata (Corte Cass., Sez. VI, ord. 6.09.2018, n. 21734). La domanda amministrativa per la tutela deve essere effettuata all’Inps nel termine di prescrizione (Cass. n. 30712/2017) e l’Inps deve provvedere entro 60 giorni dalla richiesta (art. 2, c. 7).
Il lavoratore deve agire in giudizio tenuto conto del rispetto dei tempi stabiliti per l’iter procedimentale, di natura previdenziale, da ultimarsi nei termini previsti. La legge non contempla invece oneri di agire in via esecutiva in tempi prestabiliti. Di fronte a un verbale di pignoramento negativo, non si può imputare al lavoratore l’eventuale cancellazione della società dal Registro delle Imprese, né l’aver agito nei confronti dell’impresa dopo un anno dalla sua cancellazione, rendendo improcedibile un’eventuale procedura fallimentare ex art. 10 L.F., pregiudicando il recupero del credito al Fondo di garanzia.
Riguardo alla diligenza del creditore nel promuovere l’azione esecutiva è stato precisato che, trattandosi di attività diretta al concreto soddisfacimento di un credito, si debba tenere conto anche della sua economicità (Cass. n. 9108/2007). La Suprema Corte ha di conseguenza escluso la necessità di intraprendere o proseguire un’esecuzione i cui costi, non recuperabili, superino quelli del credito, oppure quando l’esecuzione si appalesi aleatoria, oppure ancora quando risulti aliunde già acquisita la prova della mancanza o dell’insufficienza delle garanzie patrimoniali; senza che sia necessario il compimento di un’ulteriore attività costituita dalla ricerca di altri beni, mobili o immobili, di proprietà del datore di lavoro nei comuni di residenza o di nascita diversi da quello in cui ha sede l’impresa.
La legge prevede soltanto “l’esperimento dell’esecuzione forzata” e non già il compimento di un’ulteriore attività da parte del lavoratore, soprattutto perchè tale attività può rilevarsi sommamente gravosa, oltre che dispendiosa, per un soggetto che, di norma, è privo di adeguate risorse economiche; non risulta quindi posto a carico del lavoratore un onere indistinto di ricerca di beni e/o di condebitori, ma solo un onere di riattivare l’esecuzione quando essa si prospetti fruttuosa e ragionevole: in ipotesi di datore di lavoro costituito da una società di persone, l’onere di diligenza imporrà di procedere nei confronti dei soci solidalmente ed illimitatamente responsabili in considerazione della natura sussidiaria delle prestazioni poste a carico del Fondo (Cass. 28091/2017), analogo obbligo non potrà però affermarsi nei confronti dei soci di società di capitali dal momento che, in base all’art. 2495 C.C., sussiste una responsabilità limitata ed eventuale, subordinata alla estinzione della società ed alla riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione. Solo nel caso in cui risultasse positivamente dimostrato che i soci abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, l’esecuzione dovrà essere promossa nei confronti dei soci della stessa, laddove risultasse invece che i medesimi soci non abbiano riscosso somme, nessun ulteriore onere di agire spetterà al creditore (Cass. sez VI, Lavoro, ord. 7.07.2020 n. 14020).